martedì 27 aprile 2010

TEST DI INTOLLERANZA ALIMENTARE.


Il padre della medicina IPPOCRATE disse: FA CHE IL CIBO SIA LA TUA MEDICINA. Grazie ai test e alle terapie naturali, quali la Nutriterapia, applicata dal nostro Centro, questa famosa affermazione, diventa realtà.


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Già circa 2000 anni fa, era nota a tutti i medici romani la famosa affermazione di Ippocrate di Kos, fondatore della Medicina Classica Occidentale, in merito alle cure del cancro: “…il cancro non si cura con il ferro del chirurgo, ma con la dieta vegetariana e le erbe mediche… Così come era anche ben nota un’altra grande massima del grande medico greco: “… fa che la medicina sia il tuo cibo, e che il cibo sia la tua medicina…”

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sabato 3 novembre 2007

CRONACHE DAL NUOVO MONDO




Anno 100 d.A. (dopo il giudizio di Dio)






Avevo gli occhi chiusi... Ma sentivo forte il calore del sole sulle mie palpebre e la luce che vi penetrava prepotentemente.
Sentivo il canto degli uccelli, avrei voluto spalancare gli occhi, ma non potevo, erano come atrofizzati. Non so perché fu la prima volta in vita mia che col mio corpo potevo percepire il flusso del sangue che scorreva forte nelle vene e il cuore che lo pompava.
D'improvviso qualcuno mi strinse la mano; era come se non potessi alzarmi ancora... Sentivo come se sognassi la voce di mia madre che mi chiamava per nome: "Samuele, Samuele... Sei sveglio?"
Fu così che riuscì ad aprire gli occhi e intravedere i raggi fitti del sole farsi strada fra la folta vegetazione che ricopriva un cielo azzurro, che si lasciava intravedere...
Poi il viso di mia madre... In lacrime... La mano tremante... La voce stridula... Iniziai a sudare, non ricordavo nulla. Cosa mi era accaduto?
L'ultima immagine che avevo nella mente era quella di una frenata brusca, poi il black-out completo... Ed ora... La luce!
"Mamma cosa è accaduto"?
Ma mia mamma aveva il viso inondato da lacrime e invece di rispondermi mi saltò al collo singhiozzando, quasi sembrava mancarle il respiro...
"Mamma, mamma, calmati, stai bene?"
"Come potrei stare meglio", iniziò a rispondermi tremante, "questo è il Giorno della Resurrezione figlio mio e tu sei tornato dai morti!"
"Sciocchezze madre!" Mi arrabbiai. "Ancora con questa storia della risurrezione?... Lo vuoi capire o no che non ci credo?", e mentre parlavo mio fratello si avvicinava accarezzando un leone...



"Marco! Marco! Togli le mani da quella belva!" Ma lui con disinvoltura lo accarezzava, e il leone gli leccava la mano. Quando furono vicini, io mi alzai per indietreggiare, ma una mano sulla spalla mi fermò... Mi voltai... MIO PADRE!...
"Papà che ci fai qui tu sei morto da vent'anni!"...
"Ero morto figliolo, Dio mi ha risuscitato!"
Fu così che caddi in ginocchio schiaffeggiandomi e gridando "Svegliati! Svegliati!"... Ma quando iniziai a sentir il gonfiore sulle mie guance percosse e arrossite, chinai il capo sconfitto... Lo rialzai... tenendomi ad un albero, mi piegai in due, stavo male...
Ero stato risuscitato da quel Dio in cui non avevo mai creduto - Giobbe 33:27-30; Atti 24:15

Firmato da tutti coloro che non credono nelle meravigliose promesse della Sacra Bibbia.

mercoledì 10 ottobre 2007

Quello che devo sapere per soddisfare il bisogno del mio bambino? Depressione postpartum cosa fare?







Il primo impatto con il mondo

I BAMBINI alla nascita si ritrovano di colpo in un mondo freddo e inospitale, un mondo pieno di stress. Essendo tanto piccoli non sono in grado di esprimere a parole come si sentono, ma alcuni scienziati ritengono che già prima della nascita il feto sia consapevole di quello che accade.
Il libro Vita segreta prima della nascita dice: “Sappiamo ora che il nascituro è un essere umano consapevole e capace di reagire, che dal sesto mese in poi (e forse anche prima) ha una vita emotivamente attiva”. Anche se il bambino non ricorderà l’esperienza traumatica del parto, alcuni scienziati si chiedono se questa non influisca sulla sua vita da adulto.
Dopo la nascita lo stress continua. Fuori del grembo materno il neonato non riceve più il nutrimento automaticamente. Il cordone ombelicale, che trasportava l’ossigeno e le sostanze nutritizie, non c’è più. Per sopravvivere il bambino deve cominciare a respirare e ad assumere le sostanze nutritizie per proprio conto. Ha bisogno di qualcuno che lo nutra e che soddisfi gli altri suoi bisogni fisici.
Il neonato deve anche svilupparsi mentalmente, emotivamente e spiritualmente. Così qualcuno deve prendersi cura di lui. Chi è nella migliore posizione per farlo? Cosa ha bisogno di ricevere il piccolo dai genitori? In che modo questi bisogni possono essere soddisfatti al meglio?

Desideri e bisogni dei bambini

DAL momento della nascita il neonato ha bisogno di tenere cure, che includono carezze e contatto epidermico. Alcuni medici ritengono che le prime 12 ore dopo la nascita siano determinanti. Dicono che subito dopo il parto ciò di cui la madre e il bambino hanno maggiormente bisogno e desiderio non è “né il sonno né il cibo, ma di toccarsi e coccolarsi, di guardarsi e ascoltarsi”. — T. R. Verny e J. Kelly, op. cit., p. 94.
I genitori sollevano, abbracciano, accarezzano e coccolano il loro bambino istintivamente. Il piccolo a sua volta si affeziona ai genitori e risponde alle loro attenzioni. Questo legame è così forte che i genitori faranno di continuo sacrifici per prendersi cura del loro piccino.
D’altra parte, se manca questo legame d’amore il neonato potrebbe letteralmente deperire e morire. Perciò alcuni medici ritengono che sia importante che il bambino venga dato alla madre immediatamente dopo il parto. Secondo loro la madre e il bambino dovrebbero stare vicini per almeno 30-60 minuti.
Nonostante l’importanza che alcuni danno al legame tra madre e neonato, in certi ospedali il contatto precoce può essere difficile, se non impossibile. Spesso i neonati vengono separati dalla madre per proteggerli dal pericolo d’infezione. Alcuni studi, comunque, indicano che la percentuale di infezioni mortali potrebbe addirittura diminuire quando i neonati stanno con la madre. Così, sempre più ospedali sono favorevoli a permettere un contatto precoce più lungo fra i due.
Preoccupazioni riguardo al legame tra madre e bambino

Alcune madri non si affezionano al loro bambino nel momento stesso in cui lo vedono. Così si chiedono: ‘Mi sarà difficile sentirmi emotivamente vicina al mio bambino?’ È vero, non tutte le madri si innamorano del loro piccino a prima vista. Tuttavia non c’è motivo di essere ansiose.
Anche quando l’amore materno non è immediato, può svilupparsi appieno in seguito. Una madre esperta osserva: “Niente di ciò che accade alla nascita è tanto determinante da condizionare di per sé, in bene o in male, la vostra relazione con il bambino”. Tuttavia, se aspettate un bambino e avete dei timori, potrebbe essere saggio parlarne in anticipo con l’ostetrico. Esprimete chiaramente i vostri desideri, spiegando quando e per quanto tempo volete interagire con il neonato.
“Parlami!”

Sembra che ci siano determinati periodi di tempo in cui i bambini sono particolarmente sensibili a stimoli specifici. Dopo un po’ questi periodi finiscono. Per esempio, i bambini imparano con facilità una lingua, e anche più di una. Ma sembra che il periodo in cui la mente è più ricettiva per imparare le lingue volga al termine intorno ai cinque anni.
Dopo che il bambino ha raggiunto i 12-14 anni, imparare una lingua può essere un’impresa. Secondo Peter Huttenlocher, esperto di neurologia pediatrica, a quell’età “la densità e il numero delle sinapsi nelle aree del cervello preposte al linguaggio diminuiscono”. È chiaro che i primi anni di vita sono fondamentali per acquisire la capacità di parlare una lingua.
Come fanno i bambini a riuscire nell’impresa di imparare a parlare, che è così importante per il resto dello sviluppo cognitivo? Principalmente grazie alle interazioni verbali con i genitori. I bambini rispondono in particolare agli stimoli che provengono da altri esseri umani. “Il neonato . . . imita la voce della madre”, osserva Barry Arons, del Massachusetts Institute of Technology. È interessante, però, che i neonati non imitano tutti i suoni. Come osserva Arons, il neonato “non riproduce i cigolii della culla che sente contemporaneamente alla voce della madre”.
Genitori di culture diverse comunicano con i loro bambini piccoli usando tutti lo stesso modo di parlare ritmico che alcuni definiscono “genitorese”. Quando la madre o il padre parlano in modo affettuoso, il battito cardiaco del neonato accelera. Si ritiene che questo aiuti il bambino a mettere in relazione le parole con gli oggetti ad esse associati. Senza proferire parola il neonato dice: “Parlami!”

“Guardami!”

È stato dimostrato che all’incirca nel primo anno di vita il bambino sviluppa un attaccamento emotivo con l’adulto che si prende cura di lui, di solito la madre. Se il bambino si sente sicuro di questo legame, ha meno difficoltà nei rapporti con gli altri rispetto ai bambini che non hanno uno stretto legame col genitore. Si ritiene che questo legame con la madre si debba instaurare prima dei tre anni.
Cosa può succedere nel caso che il neonato venga trascurato durante questo periodo cruciale in cui la sua mente è altamente ricettiva alle influenze esterne? Martha Farrell Erickson, che ha seguito 267 madri e i loro figli per oltre 20 anni, esprime questa opinione: “Il bambino che è trascurato viene lentamente ma inesorabilmente fiaccato nello spirito finché non sente più il desiderio di stabilire una relazione con altri o di esplorare il mondo”.
Per spiegare cosa pensa delle serie conseguenze che derivano dal trascurare i bisogni emotivi del neonato, il dottor Bruce Perry dell’Ospedale Infantile del Texas afferma: “Se mi chiedeste di prendere un bambino di 6 mesi e di scegliere fra rompergli tutte le ossa o ignorarlo a livello emotivo per due mesi, direi che per il bambino sarebbe meglio che gli si rompessero tutte le ossa”. Perché? Secondo Perry “le ossa possono ricomporsi, ma se il cervello del bambino non viene stimolato per due mesi in un periodo così critico, rimarrà per sempre disorganizzato”. Non tutti ritengono che questo danno sia irrimediabile. Comunque, studi scientifici indicano che un ambiente che soddisfi i bisogni emotivi è essenziale per la mente del bambino.
“In breve”, dice un libro sull’argomento, i neonati “sono pronti ad amare e ad essere amati”. (Infants) Quando un bambino piange, spesso sta implorando i suoi genitori di guardarlo. È importante che i genitori reagiscano in modo affettuoso. Grazie a queste interazioni il neonato si rende conto che è in grado di far conoscere i suoi bisogni agli altri. Sta imparando a stringere relazioni sociali.

‘Non è che vizierò il bambino?’

Forse vi chiedete: ‘Se mi precipito ogni volta che il bambino piange, non è che lo vizierò?’ È possibile. Le opinioni al riguardo variano tantissimo. Poiché ogni bambino è diverso, di solito i genitori devono determinare cosa funziona meglio nel loro caso. Comunque alcune ricerche recenti indicano che quando il neonato ha fame, è inquieto o è agitato il suo organismo produce ormoni legati allo stress, e lui esprime il suo disagio piangendo. A quanto pare, quando il genitore risponde ai bisogni del bambino e li soddisfa, comincia a creare nel cervello del bambino le reti neuronali che aiutano quest’ultimo a imparare a tranquillizzarsi. Inoltre, secondo la dottoressa Megan Gunnar, il bambino che ha ricevuto cure amorevoli produce meno cortisolo, un ormone legato allo stress. E anche quando si agita, la sua reazione allo stress si esaurisce prima.
“Infatti”, dice la Erickson, “i bambini che hanno ricevuto attenzione in modo sollecito e coerente, specialmente durante i primi 6-8 mesi di vita, piangono meno dei bambini che sono stati ignorati quando piangevano”. È anche importante variare il modo in cui si risponde al pianto del bambino. Se si reagisce sempre nello stesso modo, ad esempio dandogli da mangiare o prendendolo in braccio, il bambino può davvero diventare viziato. A volte può bastare rispondere al suo pianto dicendo qualcosa. Oppure può essere efficace andargli vicino e parlargli dolcemente all’orecchio. Potrebbe anche essere sufficiente toccargli la schiena o il pancino con la mano.
“Piangere è il mestiere del bambino”, si dice in Oriente. Per il bambino piangere è il modo principale per comunicare cosa vuole. Come vi sentireste se foste ignorati ogni volta che chiedete qualcosa? Come dovrebbe quindi sentirsi il vostro bambino, così indifeso se non c’è qualcuno che si prende cura di lui, se lo trascuraste ogni volta che desidera attenzione? Ma chi dovrebbe prendersi cura di lui quando piange?

“Bambini silenziosi”

Alcuni medici in Giappone dicono che sono in aumento i casi di bambini che non piangono e non ridono. Il pediatra Satoshi Yanagisawa li definisce “bambini silenziosi”. Perché i bambini smettono di esprimere le loro emozioni? Alcuni medici ritengono che il problema si verifichi perché vengono privati del contatto con i genitori. La chiamano apatia forzata. Secondo una teoria, se il bisogno di comunicare viene costantemente ignorato o frainteso alla fine i bambini si chiudono in se stessi.
Se al bambino non viene dato lo stimolo appropriato al momento giusto, la parte del suo cervello che lo mette in condizione di capire gli altri potrebbe non svilupparsi, afferma Bruce Perry, primario di psichiatria all’Ospedale Infantile del Texas. Se i bisogni emotivi dei bambini vengono trascurati in maniera estrema, la loro capacità di provare empatia può andare irrimediabilmente perduta. Perry ritiene che in alcuni casi l’uso di stupefacenti, l’abuso di alcool o la violenza degli adolescenti possono ricollegarsi a queste prime esperienze di vita.
Il legame fra genitore e bambino diventa più forte man mano che i due comunicano

Chi si deve occupare del bambino?

Secondo un censimento fatto di recente negli Stati Uniti, dalla nascita fino alla terza elementare il 54 per cento dei bambini vengono regolarmente accuditi da persone che non sono i genitori. Forse molte famiglie hanno bisogno di due entrate per arrivare alla fine del mese. E molte madri si mettono in maternità per alcune settimane o alcuni mesi, se è possibile, per prendersi cura del loro bambino. Ma chi si occuperà del bambino in seguito?
Naturalmente non ci sono regole categoriche per prendere tali decisioni. Comunque, è bene ricordare che il bambino è ancora vulnerabile durante questo importante periodo della sua vita. I genitori faranno bene a considerare seriamente la cosa insieme. Per decidere cosa fare devono valutare attentamente le varie possibilità.
“Sta diventando sempre più chiaro che lasciare che a crescere i nostri figli siano strutture per l’infanzia, anche le migliori che ci siano, non sostituisce il tempo di cui i bambini necessitano da parte del padre e della madre”, afferma Joseph Zanga, dell’Accademia Americana di Pediatria. Alcuni esperti hanno espresso la preoccupazione che i bambini affidati agli asili e agli asili nido non abbiano la possibilità di interagire con chi si prende cura di loro nella misura in cui ne hanno bisogno.
Alcune madri che lavoravano, consapevoli dei bisogni fondamentali del loro bambino, hanno preferito rimanere a casa piuttosto che lasciare che fossero altri a prendersi cura dei loro figli a livello emotivo. Una donna ha detto: “Sono stata ricompensata con una soddisfazione che onestamente ritengo che nessun altro lavoro avrebbe potuto darmi”. Naturalmente le pressioni economiche non permettono a tutte le madri di fare questo tipo di scelta. Molti genitori non hanno altra alternativa che servirsi di strutture per l’infanzia, così fanno uno sforzo extra per dare al bambino attenzione e affetto quando sono insieme. Allo stesso modo molti genitori soli che lavorano, pur avendo poche possibilità di scelta a questo riguardo, fanno sforzi eccezionali per crescere i loro figli e hanno ottimi risultati.
Essere genitori può essere un compito gioioso ed entusiasmante. Ma è anche difficile e impegnativo. Come ci si può riuscire?


Provvedere ai bambini ciò di cui hanno bisogno

È CHIARO che i bambini piccoli hanno bisogno di tantissime attenzioni ed evidentemente molti non ricevono ciò di cui hanno bisogno. La condizione dei giovani d’oggi indica proprio questo. “I nostri giovani non sono mai stati così isolati dalle loro famiglie, così privati di esperienza e saggezza pratiche”, ha detto con disappunto una ricercatrice citata nel Globe and Mail di Toronto.
Cosa è andato storto? Il problema potrebbe essere attribuito, almeno in parte, al fatto che si è sottovalutata l’importanza di dare attenzione ai più piccoli? “Tutti noi abbiamo bisogno di imparare come diventare genitori”, spiega una psicologa che aiuta le neomamme con un basso reddito a imparare come prendersi cura del loro bambino. “E dobbiamo capire che saremo abbondantemente ripagati del tempo che passiamo ora con i nostri bambini”.
Anche i più piccoli hanno bisogno di istruzione regolare. Non bastano pochi minuti qua e là: occorre regolarità nel corso della giornata. Il tempo passato con i figli dall’infanzia in poi è essenziale perché crescano bene.

Bisogna prepararsi

Per adempiere la loro seria responsabilità, i genitori devono prepararsi per l’arrivo del loro bambino. Può essere loro utile un principio che Gesù Cristo indicò parlando dell’importanza di programmarsi in anticipo. Egli disse: “Chi di voi volendo costruire una torre non si mette prima a sedere e non calcola la spesa?” Crescere i figli viene spesso definito un’impresa ventennale, ed è molto più complicato che costruire una torre. Così per crescere un bambino occorre, per così dire, un progetto.
Innanzi tutto è importante prepararsi mentalmente e spiritualmente per assumersi le responsabilità che accompagnano l’essere genitori. Stando a uno studio fatto su 2.000 donne incinte in Germania, i bambini delle madri che non vedevano l’ora di avere una famiglia erano più sani, a livello emotivo e fisico, di quelli delle madri che non desideravano avere figli. D’altra parte, un ricercatore ha calcolato che la donna intrappolata in un matrimonio burrascoso corre un rischio del 237 per cento più grande di avere un bambino con problemi a livello emotivo o fisico rispetto alla donna che ha un matrimonio sicuro.
È chiaro, quindi, che il padre ha un ruolo importante perché il bambino cresca bene. Il dottor Thomas Verny ha osservato: “Poche cose sono più pericolose, per il benessere fisico e psichico del bambino, di un padre che trascuri o maltratti la propria moglie” durante la gravidanza. (Op. cit., p. 27) In effetti si dice spesso che il regalo più bello che un bambino possa ricevere è sentire che la mamma è amata dal papà.
Gli ormoni legati all’ansia e allo stress presenti nel circolo sanguigno della madre possono influire sul feto. Comunque si ritiene che solo l’ansia intensa e prolungata sia pericolosa per il feto e non emozioni negative sporadiche o singoli avvenimenti stressanti. Sembra che la cosa più importante sia quello che prova la donna per il bambino che ha in grembo.
Che dire se aspettate un bambino ma vostro marito non vi sostiene, o se non vi piace l’idea di diventare madre? Non è insolito che le circostanze portino una donna a sentirsi depressa a motivo della gravidanza. Ricordate sempre, comunque, che il vostro bambino non ha nessuna colpa. Come potete, quindi, mantenere un atteggiamento sereno nonostante le circostanze avverse?
I saggi consigli contenuti nella Bibbia, hanno aiutato milioni di persone. In essa si legge: “In ogni cosa le vostre richieste siano rese note a Dio con preghiera e supplicazione insieme a rendimento di grazie; e la pace di Dio che sorpassa ogni pensiero custodirà i vostri cuori e le vostre facoltà mentali mediante Cristo Gesù”. Vi sorprenderà scoprire fino a che punto, applicando questo suggerimento nella vostra vita, sarete aiutati a seguire il consiglio: “Non siate ansiosi di nulla”. Sentirete l’amorevole mano del Creatore, che è in grado di prendersi cura di voi.

Non è un’esperienza insolita

Nelle prime settimane dopo il parto alcune giovani madri provano una tristezza inspiegabile e si sentono apatiche. Anche donne che erano contente di avere un bambino possono diventare tristi. Tali cambiamenti di umore non sono insoliti, poiché dopo il parto i livelli ormonali possono avere enormi sbalzi. È anche normale per una madre alle prime armi sentirsi sopraffatta da tutto ciò che la maternità comporta: allattare, cambiare i pannolini e prendersi cura di un bambino che non ha orari.
Una madre era arrivata a pensare che il suo bambino piangesse soltanto per tormentarla. Non sorprende che un esperto giapponese di pedagogia abbia detto: “Nessuno può evitare lo stress che deriva dal crescere un figlio”. Secondo questo specialista, “per la madre la cosa più importante è non isolarsi mai”.
Anche se a volte dovesse sentirsi depressa, la madre può fare in modo che il bambino non risenta dei suoi sbalzi d’umore. La rivista Time spiegava: ‘Tra le madri che soffrivano di depressione, quelle che riuscivano a vincere la malinconia, colmando i loro bambini di attenzioni e impegnandosi in giochi divertenti, avevano figli di indole molto più allegra’.

Cosa può fare il padre

Il padre è spesso nella posizione migliore per dare l’aiuto e il sostegno necessari. Quando il bambino piange nel cuore della notte, in molti casi il padre può pensare ad accudire il bambino così da permettere alla moglie di dormire.
Gesù Cristo ha dato ai mariti l’esempio perfetto. Diede persino la vita per i suoi seguaci. Perciò i mariti che sacrificano le proprie comodità e prendono iniziative per badare ai bambini stanno imitando Cristo. In effetti crescere un bambino è un’impresa a due, uno sforzo congiunto che deve coinvolgere entrambi i genitori.

Uno sforzo congiunto

“Io e mia moglie abbiamo concordato nei particolari come crescere nostra figlia”, dice Yoichiro, che ha una bambina di due anni. “Ogni volta che si presenta un problema, ragioniamo insieme per vedere come affrontarlo”. Yoichiro si rende conto che sua moglie ha bisogno di riposarsi e spesso porta la figlia con sé quando esce per sbrigare qualche faccenda.
In passato, quando le famiglie di solito erano numerose e unite, i genitori potevano contare sull’aiuto dei figli più grandi e dei familiari per badare ai bambini. Così non sorprende che una donna che lavora presso un consultorio pediatrico di Kawasaki, in Giappone, abbia detto: “Nella maggioranza dei casi le madri si sentiranno sollevate quando parleranno con altri dei problemi che incontrano nel crescere i figli. A molte madri è bastato ricevere un piccolissimo aiuto per riuscire a farcela nonostante gli ostacoli”.
La rivista Parents dice che i genitori “hanno bisogno di avere diverse persone a cui poter telefonare per parlare delle loro preoccupazioni”. Dove si possono trovare? Coloro che hanno avuto da poco un bambino possono trarre grande vantaggio dall’essere di mente aperta e dall’ascoltare i loro genitori e i parenti acquisiti. Ovviamente i nonni dovrebbero riconoscere che la decisione finale spetta alla giovane coppia.
I genitori, ovviamente, devono essere selettivi quando ascoltano le opinioni altrui. “All’improvviso tutte le persone intorno a noi divennero esperte nell’educare i figli”, dice Yoichiro. La moglie, Takako, ammette: “Inizialmente quando gli altri mi davano consigli mi irritavo, poiché avevo l’impressione che criticassero la mia mancanza di esperienza come madre”. Eppure, attingendo dall’esperienza altrui molti mariti e molte mogli sono stati aiutati ad avere un concetto equilibrato riguardo al provvedere ai figli ciò di cui hanno bisogno.

Il miglior aiuto che ci sia

Colui che ne sa di più di tutti naturalmente è Dio. . Per esempio, circa 3.500 anni fa Mosè, profeta di Dio, scrisse: “Devi amare Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza vitale”. Quindi aggiunse: “Queste parole che oggi ti comando devono essere nel tuo cuore; e le devi inculcare a tuo figlio e parlarne quando siedi nella tua casa e quando cammini per la strada e quando giaci e quando ti levi”Qual è, secondo voi, il senso di questo consiglio della Parola di Dio? Non è forse che bisogna istruire i figli in maniera regolare, giorno dopo giorno? In realtà non è sufficiente programmarsi per dedicare ai figli di tanto in tanto il cosiddetto “tempo di qualità”. Poiché i momenti importanti di comunicazione spesso sono spontanei e imprevedibili, è necessario che siate presenti nella vita dei vostri figli. In questo modo riuscirete a seguire il comando: “Addestra il ragazzo secondo la via per lui”.
‘Addestrare’ bene i bambini piccoli significa anche leggere loro ad alta voce. Timoteo, discepolo del I secolo, ‘aveva conosciuto gli scritti sacri dall’infanzia’. È chiaro che quando era ancora molto piccolo la madre Eunice e la nonna Loide gli leggevano ad alta voce. È bene che cominciate a far questo non appena iniziate a parlare al vostro bambino.
Che dire se una madre prova profonda tristezza e un senso di disperazione e inoltre si sente distaccata dal suo bambino e dal mondo? Potrebbe soffrire di depressione postpartum.

Ho vinto la battaglia contro la depressione postpartum

Ricordo che osservavo mio marito giocare felice con la nostra bambina appena nata e pensavo che sarebbero stati più felici senza di me. Sentivo di essere diventata un peso per loro. Volevo prendere la macchina, andarmene e non tornare più. Non mi rendevo conto di soffrire di depressione postpartum.
Avevo paura di stare con gli altri, anche con vecchi amici. Se qualcuno veniva alla porta inaspettatamente, mi nascondevo in camera da letto. Lasciavo la casa tutta in disordine, e mi distraevo e mi confondevo con facilità. Mi piace molto leggere, ma mi diventò quasi impossibile perché non riuscivo a concentrarmi. Trovavo difficile pregare, perciò la mia salute spirituale ne soffrì. Mi sentivo emotivamente insensibile, incapace di provare amore per chicchessia. Avevo paura di fare del male alle bambine perché non pensavo in modo corretto. La mia autostima crollò. Pensavo di impazzire.

La via della guarigione

Senza l’amorevole sostegno di mio marito, la guarigione sarebbe stata senza dubbio molto più lenta. Jason ascoltava con pazienza quando mi sfogavo confidandogli i miei timori. Riscontrai che per me era molto importante non reprimere ciò che provavo. A volte sembravo persino arrabbiata. Ma Jason mi assicurava sempre che mi amava e che non ero da sola ad affrontare quella situazione. Cercava sempre di aiutarmi a vedere il lato positivo delle cose. In seguito mi scusavo per quello che avevo detto in un momento di rabbia. Mi rassicurava dicendo che era la mia malattia a parlare. Quando ci ripenso adesso, mi rendo conto quanto fossero importanti per me le sue espressioni premurose.
Insieme trovammo finalmente un dottore molto disponibile che si prese il tempo di ascoltare come mi sentivo. Diagnosticò che soffrivo di depressione postpartum e mi consigliò una terapia farmacologica per controllare i frequenti attacchi di ansia. Mi incoraggiò anche a consultare uno specialista di igiene mentale. Inoltre mi raccomandò di fare regolarmente dell’esercizio fisico, cosa che ha aiutato molti a combattere la depressione.
Uno dei maggiori ostacoli che ho trovato sulla via della guarigione è stato affrontare la vergogna che accompagna la depressione postpartum. La gente spesso trova difficile mostrare empatia a chi ha una malattia che non capisce. La depressione postpartum non è, diciamo, come una gamba rotta, che gli altri possono vedere e di cui possono quindi tener conto. Comunque la mia famiglia e gli amici intimi sono stati davvero incoraggianti e comprensivi.

L’amorevole aiuto di familiari e amici

Durante quel periodo difficile io e Jason abbiamo apprezzato molto l’aiuto di mia madre. A volte lui aveva bisogno di un po’ di respiro dall’agitazione che c’era in casa. La mamma era sempre positiva e non cercava di sobbarcarsi tutto il mio lavoro, anzi, mi sosteneva e mi incoraggiava a fare quel che potevo.
Anche gli amici si sono dimostrati un magnifico sostegno. Molti mandavano bigliettini per dirci che mi pensavano. Come mi erano care quelle parole gentili! Specialmente perché trovavo difficile parlare con la gente, sia al telefono che a quattr’occhi. Così, scrivendoci, gli amici non solo dimostravano di capire le limitazioni causate dalla depressione, ma confermavano anche il loro amore e il loro interesse per me e per la mia famiglia.

Non è una condanna a vita

Ora sto molto meglio, grazie ai consigli del mio medico, al sostegno della famiglia e alla comprensione degli amici. Faccio ancora regolarmente esercizio fisico, anche quando mi sento stanca, poiché mi ha aiutato a guarire. Cerco inoltre di reagire in modo positivo all’incoraggiamento di altri. Nei momenti difficili ascolto musica edificante e leggo libri auto motivanti. Cerco cose che mi aiutano ad essere positiva. Mi ci sono voluti più di due anni e mezzo per arrivare a provare più pienamente e manifestare amore per mio marito, le bambine e altri. Per quanto questo sia stato un periodo difficile per la mia famiglia, ci sentiamo più uniti che mai. Sono particolarmente riconoscente a Jason, che mi ha confermato il suo amore in maniera straordinaria sopportando i momenti peggiori della mia depressione ed essendo sempre pronto a sostenermi quando ne avevo bisogno.
Ci sono ancora dei giorni in cui mi sento giù, ma con l’aiuto della mia famiglia, del mio medico, degli amici, la luce alla fine del tunnel diventa sempre più luminosa. La depressione postpartum non è una condanna a vita. È un nemico che si può sconfiggere.

Fattori che potrebbero causare la depressione postpartum

Oltre agli sbalzi ormonali, altre cose potrebbero causare la depressione postpartum. Alcune sono:
1. Le idee che una donna si fa della maternità, che potrebbero essere la conseguenza di un’infanzia infelice e di un rapporto difficile con i genitori.
2. Aspettative poco realistiche imposte alle madri dalla società.
3. Casi di depressione in famiglia.
4. Insoddisfazione coniugale e mancanza del sostegno di parenti stretti o lontani.
5. Scarsa autostima.
6. Sentirsi oberata od oppressa dovendo occuparsi del neonato a tempo pieno.
Questo elenco non è certo completo. La depressione postpartum potrebbe dipendere anche da altri fattori. In effetti non se ne conoscono ancora completamente le cause.

Più che semplice “baby blue”

La depressione postpartum non va confusa con i comuni cambiamenti di umore che seguono al parto. La dottoressa Laura J. Miller dice: “Il tipo più comune di alterazione dell’umore che avviene dopo il parto è quella divenuta nota come ‘baby blue’. . . . Circa il 50% delle puerpere passa questo triste periodo di fragilità emotiva. Di solito raggiunge l’apice tra il terzo e il quinto giorno dopo il parto e poi scompare gradatamente da sé entro qualche settimana”. Secondo i ricercatori questa malinconia può essere dovuta a sbalzi dei livelli ormonali che seguono al parto.
A differenza del “baby blue”, la depressione postpartum comporta prolungati stati di depressione che potrebbero iniziare alla nascita del bambino o anche settimane o mesi dopo. La nuova mamma che ne soffre un momento potrebbe essere su di morale e subito dopo sentirsi depressa, pensare perfino al suicidio. Inoltre potrebbe essere irritabile, permalosa e arrabbiata. Potrebbe provare un persistente senso di inadeguatezza come madre e mancanza di amore per il suo bambino. La Miller afferma: “Alcune madri clinicamente depresse sanno a livello mentale di amare il proprio bambino, eppure non provano altro che apatia, irritazione o disgusto. Altre provano il desiderio di fare del male al loro bambino o persino di ucciderlo”.
La depressione postpartum è un fenomeno che ha una storia lunga. Già nel IV secolo a.E.V. il medico greco Ippocrate osservò le drammatiche alterazioni psicologiche di cui soffrivano alcune donne dopo il parto. Uno studio pubblicato in una rivista medica spiegava: “La depressione postpartum è un problema vero e proprio che in molti paesi riguarda il 10-15% delle madri”. Purtroppo, però, “nella maggioranza dei casi questa depressione non viene diagnosticata in maniera corretta e non viene curata dovutamente”, dice la rivista. — Brazilian Journal of Medical and Biological Research.
Un disturbo meno comune ma più grave che si presenta dopo il parto è la psicosi postpartum. Chi ne soffre potrebbe avere allucinazioni, sentire voci e perdere ogni contatto con la realtà, anche se forse è in sé per periodi intermittenti della durata di ore o di giorni. Le cause di questa psicosi rimangono poco chiare, ma la Miller osserva che “la vulnerabilità genetica, forse scatenata da alterazioni ormonali, sembra essere il fattore determinante”. Un bravo medico può prescrivere una cura efficace per la psicosi postpartum.

Aiutarsi da sé

1. Se la depressione persiste, rivolgiti a un medico. Prima lo fai, prima potrà iniziare il processo di guarigione. Cerca un medico comprensivo che conosca bene la malattia. Sforzati di non vergognarti della tua depressione e di non sentirti in imbarazzo se devi assumere farmaci.
2. Fa regolarmente esercizio fisico. Le ricerche hanno dimostrato che l’esercizio fisico regolare può essere un rimedio efficace contro la depressione.
3. Spiega a chi ti è più vicino come ti senti. Non isolarti e non reprimere ciò che provi.
4. Ricordati che non devi avere una casa perfetta. Cerca di semplificarti la vita concentrandoti sulle cose essenziali.
5. Prega per avere coraggio e pazienza. Se trovi difficile pregare, chiedi a qualcuno di pregare con te. Continuando a provare sensi di colpa o a sentirti indegna potresti solo ritardare la guarigione.

Suggerimenti utili per gli uomini

1. Riconosci che tua moglie non ha colpa se soffre di depressione postpartum. Se la depressione persiste, aiutala a trovare un medico che capisca il problema e sia comprensivo.
2. Ascolta con pazienza tua moglie. Cerca di capire i suoi sentimenti. Non irritarti se è pessimista. Aiutala gentilmente a vedere il lato positivo delle cose e assicurale che migliorerà. Non presumere di dover risolvere tutti i problemi che menziona. Forse desidera solo essere confortata, non ricevere risposte logiche. (1 Tessalonicesi 5:14) Ricorda che la depressione postpartum rende difficile a chi ne soffre pensare in modo logico e chiaro.
3. Riduci le attività non essenziali per avere più tempo per aiutare tua moglie. Questo potrebbe accelerare la sua guarigione.
4. Assicurati di avere un po’ di tempo per te. Una buona salute fisica, mentale e spirituale ti permetterà di essere di maggiore aiuto a tua moglie.
5. Cerca di parlare con qualcuno che ti incoraggerà, magari un altro uomo spiritualmente maturo la cui moglie ha sofferto di depressione postpartum.


Che cos’è la depressione postpartum

Cosa mi succede? Ho appena avuto un bel bambino sano. Dovrei esserne felice e orgogliosa, invece mi sento così giù e inquieta, persino arrabbiata. Sono una cattiva madre? Perché sono così depressa?
SE HAI appena avuto un bambino, forse provi sentimenti del genere. In questo caso, non sei la sola. Si calcola che dal 70 all’80 per cento delle nuove mamme provino a volte simili sentimenti. Ma che cos’è la depressione postpartum, e cosa la provoca? Come si può superarla? Che aiuto possono dare i familiari e altri?

Disturbi

Il termine “depressione postpartum” si riferisce a episodi depressivi successivi al parto. Questi si possono verificare dopo la nascita di un bambino, non necessariamente il primo, o anche dopo un aborto spontaneo o l’interruzione di una gravidanza. Secondo l’ufficio che si occupa della salute della donna del Dipartimento americano della Sanità e dei Servizi Sociali, la gravità dei sintomi può variare enormemente.
Dopo il parto molte donne attraversano il cosiddetto “baby blue”, periodo caratterizzato da malinconia, ansia, irritabilità, cambiamenti di umore e stanchezza. Queste alterazioni sono considerate normali, sono di breve durata e si risolvono da sé in una decina di giorni senza intervento medico.
Tuttavia l’Ordine Americano degli Ostetrici e dei Ginecologi calcola che in 1 puerpera su 10 queste sensazioni si aggravano e perdurano dopo i primi giorni. Possono perfino presentarsi diversi mesi dopo il parto. Potrebbe trattarsi di vera e propria depressione postpartum, in cui i sentimenti di tristezza, ansia o disperazione sono così intensi che la nuova mamma non riesce a far fronte alle incombenze quotidiane.
Inoltre da 1 a 3 nuove mamme su 1.000 soffrono di una forma di depressione ancora più grave detta psicosi postpartum, soffrono cioè di allucinazioni che spesso portano a nuocere a sé o al bambino. Quest’ultima patologia richiede immediate cure mediche.

Cause

Non esiste una singola causa ben definita della depressione postpartum. Sembra che vi siano implicati fattori sia fisici che emotivi. Un fattore fisico potrebbe essere che nelle prime 24-48 ore dopo il parto i livelli di estrogeno e progesterone calano sensibilmente, risultando più bassi di prima del concepimento e creando un brusco cambiamento delle funzioni fisiologiche dell’organismo. Ciò può causare depressione, più o meno come prima dei cicli mestruali si verificano tensione e cambiamenti di umore. Dopo il parto potrebbe calare anche il livello degli ormoni prodotti dalla tiroide, provocando sintomi simili a quelli della depressione. Per questi motivi i ricercatori tendono a definire la depressione postpartum un “disturbo ormonale e biochimico”.
È interessante che un bollettino medico avanza l’ipotesi che la depressione postpartum possa essere causata da uno squilibrio nutrizionale, forse da una carenza di vitamine del complesso B.
La stanchezza e la mancanza di sonno hanno pure un ruolo importante. Il dott. Steven I. Altchuler, psichiatra presso la Mayo Clinic del Minnesota (USA), dice: “Nel periodo immediatamente successivo al parto, la mancanza di forze e l’impossibilità di dormire possono far sembrare molto più grossi dei problemi insignificanti. Alcune donne potrebbero sentirsi frustrate constatando di non riuscire a fare le cose che prima del parto facevano senza difficoltà, senza ‘baby blue’ e dormendo tutta la notte”. Fattori emotivi come una gravidanza non prevista, un parto prematuro, la perdita della libertà, la preoccupazione per il proprio aspetto fisico e la mancanza di un sostegno possono pure accrescere la depressione.
Inoltre diversi luoghi comuni sull’essere mamma possono contribuire a far sentire depressa una donna e a indurla a pensare di essere un fallimento. Questi includono l’idea che i doveri della maternità siano istintivi, che il legame affettivo dovrebbe essere immediato, che il neonato sarà perfetto e mai nervoso e che la nuova mamma dovrebbe essere perfetta. In realtà le cose non stanno così. I doveri della maternità si devono imparare, il legame affettivo spesso richiede tempo, alcuni bambini sono più facili da accudire di altri e nessuna madre è perfetta o è una “supermamma”.

Sempre più riconosciuta

Fino a poco tempo fa, la depressione postpartum spesso non veniva presa sul serio. Il dott. Laurence Kruckman, fa notare: “In passato i problemi di salute mentale delle donne sono stati sottovalutati e definiti isterici e non preoccupanti. Il manuale diagnostico dell’Associazione Americana di Psichiatria non ha mai riconosciuto pienamente la presenza di una malattia postpartum, e di conseguenza i medici sono disinformati e non sono disponibili dati affidabili. . . . E a differenza di 30 anni fa, le madri spesso tornano a casa dall’ospedale nel giro di 24 ore. La maggior parte delle psicosi postpartum, dei ‘baby blue’ e di certa depressione si verificano da 3 a 14 giorni dopo il parto. Quindi le madri sono già a casa e non sotto la sorveglianza di professionisti a conoscenza dei sintomi”.
Tuttavia secondo la dottoressa Carol E. Watkins della Northern County Psychiatric Associates, un ente di Baltimora, nel Maryland (USA), se non viene diagnosticata o curata, la depressione postpartum può provocare una depressione a lungo termine e difficoltà a stabilire un legame affettivo con il neonato. Le madri depresse potrebbero ignorare passivamente i bisogni del bambino oppure non controllarsi e ricorrere alle maniere forti per disciplinare il neonato. Questo può influire negativamente sullo sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino.
Per esempio un articolo pubblicato da una rivista medica avanza l’ipotesi che i bambini di madri depresse riescano meno bene nei test cognitivi di quelli le cui madri non erano depresse. (American Family Physician) Inoltre la depressione postpartum può influire negativamente sugli altri figli e sul marito.

Terapia

Cosa si può fare? Soltanto tener duro? È confortante sapere che la depressione postpartum è temporanea e si può curare. Secondo il già citato ufficio che si occupa della salute della donna, il riposo e il sostegno della famiglia potrebbero essere sufficienti per i sintomi lievi, ma se la depressione vi impedisce di svolgere le vostre attività dovete rivolgervi al medico.
Alcune terapie comuni sono la somministrazione di antidepressivi, incontri con uno specialista di igiene mentale, cure ormonali o un insieme di tutto questo, secondo la gravità del caso. Anche la “terapia del canguro”, cioè il contatto diretto con il neonato, può alleviare la depressione postpartum. Ci sono anche terapie alternative come quelle a base di erbe, l’agopuntura e i rimedi omeopatici.
Comunque ci sono cose che potete fare personalmente, fra cui mangiare cibi nutrienti (includendo frutta, verdura e cereali integrali), evitare caffeina, alcolici e zucchero, fare esercizio fisico con moderazione e fare un pisolino mentre il bambino dorme. Zoraya, una madre cristiana che ha pianto per giorni e giorni dopo la nascita di una bambina sana, dice che è riuscita a superare la depressione impegnandosi appena possibile nelle normali attività di ministero dei testimoni di Geova. — Per ulteriori suggerimenti vedi l’accluso riquadro.

Che aiuto possono dare gli altri?

Dato che uno dei fattori principali della depressione postpartum è la mancanza del dovuto riposo, gli altri possono essere d’aiuto sbrigando alcune faccende domestiche e dando una mano ad accudire il neonato. Si nota che quando la famiglia estesa si stringe intorno alla nuova mamma per dare aiuto e consigli si verificano molto meno casi di depressione postpartum. Molte volte si può essere di grande aiuto ascoltando affettuosamente, essendo rassicuranti ed evitando di criticare o giudicare. Ricordate che la depressione postpartum è una patologia e non è provocata dal proprio comportamento. Come fa notare un’organizzazione che si propone di informare i genitori in materia, “una donna non può ‘tirarsi su’ più di quanto potrebbe se avesse l’influenza, il diabete o una cardiopatia”.
Da quanto si è detto è evidente che il periodo dopo il parto può essere meraviglioso per le nuove mamme, ma può essere anche stressante. Capirlo può aiutarci a dar loro l’aiuto di cui hanno bisogno.
La depressione postpartum non va confusa con lo stress postraumatico, di cui soffrono alcune mamme dopo un parto difficile, anche se entrambe le patologie si possono presentare contemporaneamente.
Certi medicinali possono contaminare il latte materno, perciò se desiderate allattare, fatevi consigliare dal vostro medico la terapia più adatta.

Consigli per superare la depressione postpartum

1. Parla con qualcuno di come ti senti, in particolare con altre mamme.
2. Chiedi ad altri di aiutarti ad accudire il neonato, svolgere le faccende e fare commissioni. Chiedi a tuo marito di darti una mano a preparare la pappa di notte e a svolgere le faccende.
3. Trova il tempo di fare qualcosa di positivo per te stessa, anche se solo per 15 minuti al giorno. Cerca di leggere, fare una passeggiata, un bagno rilassante.
4. Anche se in un dato giorno riesci a fare una cosa sola, è un passo nella direzione giusta. Potrebbero esserci giorni in cui non riesci a fare niente. Cerca di non arrabbiarti con te stessa quando capita.
5. Spesso l’isolamento perpetua la depressione. Vestiti, esci di casa almeno per un po’ ogni giorno. L’aria fresca e una vista diversa faranno molto bene sia a te che al bambino.
Adattato da: l’Accademia americana dei Medici di Famiglia, l’Ordine Americano degli Ostetrici e dei Ginecologi e l’ente che si occupa della salute della donna.

martedì 18 settembre 2007

Come far fronte ai disturbi cardiaci

UDIAMO spesso di parenti, amici e conoscenti che hanno avuto un attacco cardiaco. Solo negli Stati Uniti gli attacchi cardiaci fanno circa 650.000 vittime all’anno, più di una persona al minuto. Circa 350.000 muoiono prima di arrivare all’ospedale. Ma ne sono colpiti anche gli abitanti di altri paesi. Nei paesi occidentali quasi metà degli uomini, e molte donne, muoiono di questo unico male: attacco cardiaco!
Ciò che spaventa particolarmente è che tante vittime sono giovani, sui 30, 40 e 50 anni. Spesso hanno il cuore sostanzialmente sano. Perché muoiono? Cos’è che non va?

Causa del problema
La causa del problema è che il muscolo cardiaco non riceve una sufficiente quantità di sangue. ‘Ma com’è possibile?’ chiederete. ‘Il cuore non è letteralmente immerso nel sangue? Non l’attraversano ogni giorno tonnellate di sangue?’
Sì. Per capire la natura del problema, dobbiamo sapere qualcosa sul funzionamento del cuore. È un muscolo cavo, con quattro cavità, l’atrio destro e il ventricolo destro, l’atrio sinistro e il ventricolo sinistro. Il sangue ossigenato proveniente dai polmoni affluisce all’atrio sinistro mentre l’atrio destro si riempie di sangue carico di anidride carbonica proveniente dal corpo. Quando gli atrii si contraggono, il sangue è spinto attraverso valvole nei ventricoli. Quindi ha luogo la principale azione di pompaggio del cuore. I ventricoli si contraggono energicamente, inviando simultaneamente il sangue ossigenato alle varie parti del corpo per mezzo dell’aorta e il sangue povero d’ossigeno ai polmoni attraverso l’arteria polmonare.
Mentre il sangue passa attraverso queste cavità, il muscolo cardiaco stesso non si avvale di questo fluido vitale. Si può fare un paragone con un camion che trasporta gasolio. Il camion non è alimentato dal gasolio che consegna ai clienti. Piuttosto, è alimentato dal carburante di cui si rifornisce alle stazioni di servizio. Questo carburante è inviato al motore del camion attraverso il tubo di alimentazione.
Allo stesso modo, non è il sangue che passa attraverso le cavità del cuore a nutrire il cuore. No, ad alimentarlo è piuttosto il sangue che è pompato dal cuore e che vi ritorna per un’altra strada. La chiave del problema degli attacchi cardiaci sta in queste ‘linee di alimentazione’ o percorsi seguiti dal sangue per alimentare il cuore.
Dal cuore il sangue è pompato nella principale arteria del corpo, l’aorta. Tuttavia, quasi immediatamente buona parte di questo sangue è inviato alle due arterie coronarie. In questo modo l’ossigeno e le sostanze chimiche nutritive sono trasportati in tutte le parti di questo importantissimo muscolo del corpo. Cosa accade dunque se nelle arterie coronarie il flusso del sangue viene ostacolato?
Ostruzione delle arterie coronarie


Per fare un esempio si può notare ciò che accade quando si accumula una gran quantità di ruggine all’interno di una conduttura dell’acqua. Quando pompate l’acqua attraverso quel tubo, il flusso è limitato. Che accade dunque se occorre una gran quantità d’acqua in un breve periodo di tempo? Sotto l’eccessivo sforzo la pompa smetterà di funzionare e si romperà.
Questo vi dà un’idea di quanto accade nel cuore di milioni di persone. Le arterie coronarie si restringono in seguito all’accumulo di depositi grassi. Questa condizione è detta aterosclerosi. Cosa accade, dunque, quando il cuore ha bisogno di più sangue per far fronte a qualche improvvisa necessità fisica o emotiva?
Anche quando una piccola parte del cuore resta temporaneamente senza sangue, i fenomeni elettrici possono in qualche modo venire turbati, sconvolgendo il ritmo delle pulsazioni. Sopravviene allora quella che è definita fibrillazione ventricolare, un’insolita e seria complicazione in cui il cuore si contrae in modo caotico e inefficace, e si ferma venendo a mancare la forza motrice. Ne consegue la morte entro pochi minuti se non riprende a pompare debitamente.
Gli attacchi cardiaci sono spesso provocati anche da un coagulo o trombo in un’arteria coronaria. L’aterosclerosi non causa un restringimento uniforme dei vasi. Piuttosto, lungo il vaso sanguigno si accumulano depositi a tratti, mentre il diametro del resto del vaso può essere normale. Quindi il coagulo si forma in un punto più stretto del vaso, ostruendo l’afflusso di sangue a una parte del muscolo cardiaco. Questa ostruzione di un vaso sanguigno nel cuore è detta trombosi coronarica od occlusione coronarica. Il risultato dell’ostruzione è chiamato infarto miocardico, un attacco cardiaco.
Come si può stabilire se si tratta di un attacco cardiaco?

Sintomi
In molti casi è difficile riconoscere un attacco cardiaco. Infatti, gli specialisti del cuore calcolano che forse il 20 per cento degli attacchi iniziali hanno luogo senza che la vittima se ne accorga. Questo avviene perché un vaso sanguigno del cuore si chiude gradualmente in un periodo di settimane o mesi, anziché tutt’a un tratto.
Inoltre, i sintomi possono non essere riconosciuti come quelli di un attacco cardiaco. Ad esempio, possono essere scambiati per una forte indigestione. Ci può anche essere vomito, insieme a senso di affaticamento e aspetto cinereo. Altri indizi possono essere sudorazione e respiro corto. Il più comune sintomo di attacco cardiaco, comunque, è una sensazione di disagio, di pressione o di pienezza al centro del torace. Oppure si avverte un fortissimo dolore al torace, indizio quasi sicuro di attacco cardiaco.
Molti, dopo un attacco cardiaco, vivono una vita lunga e piena, forse senza essersi neppure accorti d’averlo avuto. D’altra parte, anche un attacco leggero che danneggi minimamente il cuore può far insorgere la fibrillazione ventricolare, e la vittima può perdere i sensi e morire nel giro di pochi minuti. Ma potreste salvarla, sapendo cosa fare.

  1. Per salvare le vittime di attacchi cardiaci
    Molti il cui cuore si era fermato per ben cinque minuti sono ora in buone condizioni fisiche e in grado di fare tutto ciò che facevano prima dell’attacco cardiaco. A salvarle fu la pronta azione di coloro che si trovavano nelle vicinanze. Sapevano cosa fare. E voi? Potreste salvare una vita?
    Non è così difficile come si potrebbe pensare. In certi luoghi si tengono corsi aperti al pubblico in cui viene insegnato l’efficacissimo metodo della rianimazione cardiopolmonare che può salvare delle vite. Consiste in una combinazione di massaggio cardiaco esterno e respirazione artificiale. Se ne avete l’occasione, seguite un corso del genere. Tuttavia, considerando attentamente le istruzioni fornite qui, potete essere in grado di salvare la vita a qualcuno che è stato colpito da attacco cardiaco, forse una persona cara.
    Se vedete qualcuno colpito da collasso, dovete seguire certi passi preliminari prima di dare inizio alla rianimazione cardiopolmonare. Ma dovete agire in fretta, perché la persona priva di sensi può vivere solo da quattro a sei minuti circa senza respirare.
    Prima vedete se ha veramente perso i sensi. Sarebbe imbarazzante tentare di salvare la vita a qualcuno che sta solo dormendo! Perciò scuotete con delicatezza la spalla della persona e chiedete: "Come va?" Se non risponde, controllate se respira, perché può darsi sia solo svenuta. Avvicinate l’orecchio alla sua bocca, con la faccia girata verso il suo petto. Se respira, dovreste poter sentire il respiro nell’orecchio, e forse vedere il torace che si muove.
    Se non c’è segno di respirazione, è importante aprirgli le vie aeree. Quando qualcuno perde i sensi a volte la lingua scivola in fondo alla gola, per cui questa importante apertura attraverso cui l’aria arriva ai polmoni viene ostruita. Forse tutto ciò che occorre per riattivare la respirazione è di liberare le vie aeree, e questo di solito non è difficile.
    Stesa sul dorso la persona priva di sensi, con una mano sollevatele delicatamente la nuca. Così la testa cadrà all’indietro, facendo allungare il collo. Appoggiate l’altra mano sulla fronte e spingete indietro la testa finché non va più in là. Rimarrete sorpresi notando fin dove arriva la testa tendendo il collo al massimo. Fatto ciò, il mento sarà in posizione quasi verticale verso l’alto, e la cima della testa sarà appoggiata per terra. In questa posizione la mascella e la lingua son tirate in avanti e l’apertura della gola è libera.
    Se dopo aver fatto questo in fretta la respirazione non è riattivata, cominciate immediatamente a praticare la respirazione artificiale. Servendovi della mano che è appoggiata sulla fronte della vittima, chiudetele il naso, tenendo fermo contemporaneamente il palmo della mano perché la testa resti inclinata. Tenete l’altra mano sotto il collo della vittima (o sotto il mento), spingendo verso l’alto. Quindi spalancate la bocca e appoggiatela direttamente sulla bocca della vittima, e fate quattro insufflazioni veloci e complete in rapida successione. Vedrete sollevarlesi il petto mentre i polmoni si espandono.
    Successivamente, controllate in fretta il polso della vittima, per vedere se il cuore batte. Il miglior luogo per trovare il polso è l’arteria carotide, la principale arteria del collo. Per trovarla, togliete la mano da dietro al collo e fate scorrere l’indice e il medio nel solco accanto alla laringe. Se il polso non si sente, il cuore si è fermato e, oltre alla respirazione artificiale, dovete anche provvedere alla circolazione artificiale se volete salvare la vittima.



  2. La circolazione artificiale si può ottenere con il massaggio cardiaco a torace chiuso. È un metodo relativamente semplice che consiste nel comprimere il torace. Queste compressioni spingono in effetti il cuore a pompare il sangue. Molte volte il cuore ricomincia in questo modo a battere da solo. Ma, naturalmente, si deve anche continuare a fornire ossigeno, perché il sangue in circolo non serve a nulla se non prende ossigeno dai polmoni.
    Pertanto il soccorritore deve compiere per la vittima la funzione vitale della respirazione e contemporaneamente fare in modo che il suo cuore pompi il sangue. Anche se il cuore non comincia a battere da solo, se potete praticare la rianimazione cardiopolmonare fino all’arrivo del soccorso medico, forse la vittima si salverà. Ci sono stati casi in cui la respirazione e la circolazione del sangue sono state attivate artificialmente per ore prima che l’organismo della vittima ricominciasse ad assolvere queste funzioni.
    Prevenzione
    Oltre a essere pronti a soccorrere le vittime di attacchi cardiaci, cos’altro possiamo fare? Si può prevenire, o almeno rallentare, l’accumulo di depositi nelle arterie, la principale causa di attacchi cardiaci?
    Si ammette in genere che colesterolo e grassi (gliceridi) contribuiscono in qualche modo alla formazione di questi depositi. È solo sensato badare alla propria alimentazione ed evitare di ingrassare troppo, dato che se c’è grasso visibile probabilmente questo vuol dire che all’interno del corpo si accumulano grassi nelle arterie, restringendole pericolosamente. Può anche essere consigliabile limitare o evitare il consumo di cibi fritti in grasso animale. Nello stesso tempo mangiate in abbondanza nutrienti verdure, frutta, meloni e cereali.
    L’attuale ritmo della vita, accelerato e stressante, pare sia un altro fattore che accentua la formazione di depositi grassi nelle arterie. Dato che chi cerca incessantemente di fare troppe cose in un tempo troppo breve va soggetto agli attacchi cardiaci, vorrete evitare questo continuo senso di fretta.
    Un’altra cosa importante per contrastare i possibili effetti disastrosi dell’accumulo di grassi nelle arterie è quella di fare abbastanza esercizio. Infatti, il dott. Wilhelm Raab, direttore delle Ricerche Cardiovascolari presso l’Università del Vermont, ha detto: "La mancanza di esercizio è la maggiore causa delle malattie delle coronarie". Perché?
    Come sappiamo, il cuore è un muscolo, e i muscoli si indeboliscono quando non sono esercitati abbastanza. Infatti, ne risente tutto il sistema circolatorio. Le arterie che trasportano il sangue ai muscoli si restringono e molti piccoli vasi scompaiono addirittura. D’altra parte, il regolare esercizio fa ingrossare le arterie, così che trasportano più sangue. Inoltre, nel tessuto muscolare si aprono più vasi sanguigni, aprendo nuove vie per l’invio di maggiore ossigeno, e riducendo così la possibilità di un attacco cardiaco.
    La regolare attività fisica, inoltre, rafforza l’azione di pompaggio del cuore. Pertanto ci vogliono meno battiti per compiere la stessa quantità di lavoro. Quindi un cuore in buone condizioni fisiche non dovrà sforzarsi in caso di necessità improvvisa come un cuore che non è in forma. Per salvaguardare il cuore, prendete l’abitudine di fare regolarmente dell’esercizio. Un medico ha detto: "Le camminate di buon passo, dalla gioventù in poi, ridurrebbero di per se stesse drasticamente l’invalidità e le morti premature dovute a coronaropatie".
    Ma non tutte le cardiopatie sono provocate da un accumulo di grassi che restringono l’interno delle arterie coronarie. La causa di alcune cardiopatie è il cattivo funzionamento del sistema elettrico del cuore.
    Blocco cardiaco
    Come si è già detto, il cuore ha un complicato sistema di cellule speciali che avviano e conducono gli impulsi elettrici a tutto il cuore per farlo battere ritmicamente. Avviene un blocco cardiaco quando c’è qualcosa che non va nella trasmissione di questi impulsi elettrici. Gli impulsi non vengono trasmessi debitamente, e l’azione di pompaggio del cuore ne soffre.
    Ci sono diversi gradi di blocco cardiaco. Un blocco parziale può comportare solo un ritardo nella trasmissione degli impulsi, senza causare alcuna particolare anormalità nel funzionamento del cuore. Ma può trattarsi di un disturbo grave. La trasmissione degli impulsi dagli atrii ai ventricoli può essere completamente bloccata, per cui le cavità cardiache battono l’una indipendentemente dall’altra. Il risultato sono delle pulsazioni inefficaci che non provvedono un adeguato flusso di sangue. Se il blocco cardiaco persiste, e il flusso di sangue è troppo inadeguato, si può morire.
    Oggi, comunque, migliaia di persone che probabilmente anni fa sarebbero morte sono ancora in vita, e conducono una vita pressoché normale. Questo grazie ai pace-maker artificiali, apparecchiature per la stimolazione cardiaca. I primi furono inseriti in pazienti verso il 1960. Hanno avuto un tale successo che letteralmente centinaia di migliaia di persone hanno questi pace-maker nel proprio corpo. Il seguente racconto sugli enormi cambiamenti che un pace-maker ha prodotto nella vita di un uomo sarà sia istruttivo che incoraggiante.



  3. Per "infarto" si intende quella parte di tessuto che è morta per la cessata irrorazione sanguigna; "mio" si riferisce al muscolo, e "cardico" al cuore.



  4. Come si deve praticare esattamente la rianimazione cardiopolmonare? Un opuscolo dell’Ordine dei Cardiologi Americani dà le seguenti concise istruzioni:
    "Inginocchiatevi a fianco della vittima vicino al suo torace. Individuate la parte più bassa dello sterno. . . . Appoggiate il palmo di una mano a 2,5-4 centimetri da [cioè sopra] quella punta. Mettete l’altra mano sopra quella. Badate di tenere le dita staccate dalla parete toracica. Forse vi è più facile farlo se intrecciate le dita.
    "Mentre comprimete, portate il peso delle spalle direttamente sopra lo sterno della vittima, tenendo le braccia diritte. Se la vittima è un adulto, comprimete lo sterno di circa 4 o 5 centimetri. Ogni compressione dev’essere immediatamente seguita da un rilasciamento, di ugual durata. Un movimento ritmico oscillatorio aiuta ad assicurare la giusta durata del ciclo di rilasciamenti. Ricordate di non staccare le mani dallo sterno della vittima quando lasciate tornare il torace alla posizione normale fra una compressione e l’altra.
    "Se siete l’unico soccorritore, dovete provvedere sia alla respirazione che al massaggio cardiaco. Il giusto rapporto è di 15 compressioni ogni 2 veloci insufflazioni. Dovete comprimere il torace al ritmo di 80 volte al minuto se lavorate da soli poiché dovete interrompervi per praticare queste insufflazioni.
    "Se potete valervi dell’aiuto di un altro soccorritore, mettetevi uno da ciascun lato della vittima. Uno si occuperà della respirazione, un’insufflazione ogni cinque compressioni toraciche. L’altro, che comprime il torace, praticherà 60 compressioni al minuto".

sabato 8 settembre 2007

L'arma vincente per vincere la battaglia contro i kili di troppo


La Piramide Alimentare nella dieta Mediterranea
La piramide alimentare mediterranea è stata proposta dai nutrizionisti americani come esempio di alimentazione corretta; alla base è stata posta l'attività fisica regolare, importante quanto un regime alimentare equilibrato nel garantire il raggiungimento ed il mantenimento del peso ideale, e le indicazioni riguardano il consumo giornaliero, settimanale o mensile dei cibi.
Questa piramide in realtà non è rappresentativa delle abitudini mediterranee, ad esempio sono consigliati quotidianamente legumi e frutta secca, ma presenta il vantaggio di associare l'attività fisica come elemento di primaria importanza nel mantenimento della salute. Inoltre questa piramide pone una grande attenzione ai grassi di origine animale, limitando fortemente il loro consumo e privilegiando il consumo di grassi di origine vegetale (olio d'oliva, frutta secca) fonti di acidi grassi poliinsaturi e di vitamine liposolubili.

Dimagrire: Una battaglia persa?
Vincere questa lotta non è così semplice come pensano i magri!
È UNA guerra che si combatte su molti fronti. Il digiuno fa perdere in fretta i chili indesiderati. Le diete liquide li sciolgono con rapidità. Alcuni se li tolgono correndo. I camminatori se li tolgono più lentamente. Chi calcola le calorie controlla attentamente quello che mangia. Alcuni ricorrono a misure più drastiche. Sono state bloccate le mascelle a chi non sapeva resistere davanti al cibo. Sono stati eseguiti interventi chirurgici per scavalcare certi tratti del canale digerente, per cucire stomaci e per estrarre pezzi di grasso dai depositi adiposi. Con tutte queste possibilità, la vittoria dev’essere imminente.
Ma non così in fretta! Le cellule adipose sconfitte tornano alla carica. I chili perduti vengono ripresi, e spesso qualcuno in più. Le sorti della battaglia si alternano e i temporanei successi sono seguiti da scoraggianti fallimenti. La lotta si trascina, insorge lo scoraggiamento e chi si era messo a dieta, ormai stanco, è pronto a capitolare. Non dovrebbe. Il cammino è lungo e accidentato, ma la vittoria attende gli audaci che perseverano. Preparatevi mentalmente ad agire e ricordate: più dura è la lotta, più dolce è la vittoria. Quando ingaggiate la vostra battaglia contro il grasso, dovete anche armarvi di coraggio per conservare il rispetto di voi stessi e un po’ di amor proprio. Può darsi dobbiate sopportare gli affronti e le osservazioni offensive di una società ossessionata dalla magrezza.
Dovete resistere alle padrone di casa sventate che vi esortano a mangiare quello che non dovreste. Dovete sopravvivere ai pregiudizi di persone crudeli che vi tacciano di ingordigia. Le prime vi farebbero fallire con le loro premure; le seconde, vi giudicano prematuramente sulla base delle apparenze esteriori.
Dovete ignorare le affermazioni semplicistiche dei non informati: “Se tu non mangiassi troppo, non peseresti troppo!” Fanno pensare che sia una cosa semplice, ma è molto complicata invece. È vero che se non si assumono più calorie di quelle che si bruciano, non si ingrassa. In molti casi, però, non tutte le calorie introdotte nell’organismo vengono bruciate. Per varie ragioni molte di esse vengono immagazzinate nelle cellule adipose sotto forma di grasso. Così coloro che sono sovrappeso possono a volte dover combattere da soli, salvo per gli amici solidali che sono a conoscenza delle difficoltà contro cui devono lottare. E possono essere difficoltà davvero enormi.
Prima però di addentrarsi nell’esaminare le complessità della lotta bisogna rispondere a questa domanda: Avete bisogno di dimagrire? In alcuni paesi la magrezza è diventata una fissazione. Alcuni dimagriscono fino al punto d’essere malnutriti, o arrivano addirittura agli estremi dell’anoressia nervosa o della bulimia. Anziché giudicare solo in base al peso, alcuni scienziati ritengono sia meglio farsi guidare dalla percentuale di grasso dell’organismo. Per loro il sovrappeso si può definire obesità quando dal 20 al 25 per cento del peso corporeo è grasso negli uomini, e quando, dal 25 al 30 per cento del peso corporeo è grasso nelle donne.
Certo i pesi specifici indicati nelle tabelle basate sulla statura e sul peso non sono sufficienti da soli. Un ricercatore dice: “Quello che le tabelle non vi dicono, però, è che due persone di ugual peso e statura possono differire notevolmente in quanto a obesità e condizione fisica generale. A parità di volume i tessuti magri e i muscoli pesano più del grasso, per cui il peso da solo non è un buon criterio per stabilire il grado di salute o di forma fisica”. Una guida più sicura — ma pur sempre imperfetta — sono quelle tabelle che tengono conto dell’età, del sesso e del tipo di corporatura, e che indicano vari pesi approssimativi accettabili, come quelle a pagina 7.
Molti suppongono che le cellule adipose (dette adipociti) siano cose molto pigre, che sono semplicemente sparse nel corpo e che occupano spazio, troppo spazio! Il tessuto grasso (detto tessuto adiposo) è più che un semplice deposito di trigliceridi (grassi). Circa il 95 per cento del tessuto adiposo è grasso inattivo, ma il restante 5 per cento si divide in materiale strutturale, sangue e vasi sanguigni, e cellule vive attive nel metabolismo del corpo. Queste cellule possono essere molto avide, aggrappandosi ai nutrienti presenti nel sangue che circola nei capillari disseminati nel tessuto adiposo e trasformandoli in grasso. Certi ormoni favoriscono la sintesi del grasso o la sua distribuzione sotto forma di acidi grassi nel sangue per soddisfare i bisogni energetici dell’organismo. Per la disperazione di alcuni, le cellule adipose invece d’essere pigre fanno lo straordinario!
Un tempo si pensava che una volta insediatesi nell’organismo, le cellule adipose non aumentassero di numero, ma solo di grandezza. Ricerche successive hanno dimostrato che le cose non stanno così. Una pubblicazione scientifica dice: “L’accresciuta capacità di immagazzinamento del tessuto adiposo si ottiene prima accrescendo il contenuto degli adipociti del grasso dei depositi, i trigliceridi, e poi, quando tutti gli adipociti esistenti sono completamente pieni, con la formazione di nuove cellule adipose”. Gli adipociti, quando sono quasi vuoti, sono piccolissimi, ma man mano che il loro grasso aumenta, possono decuplicare il loro diametro, il che significa un aumento di volume di un fattore di circa mille.
Nel corpo ci sono certi depositi adiposi dove il grasso tende ad accumularsi. Negli uomini uno di questi depositi è all’altezza della vita. Nelle donne, sono i fianchi e le cosce. Anche se si dimagrisce, questi punti sono gli ultimi ad assottigliarsi. Alcuni ricercatori hanno scoperto che le cellule adipose hanno sulla superficie piccole molecole dette recettori alfa e beta. I recettori alfa stimolano l’accumulo di grasso; i recettori beta favoriscono lo scioglimento del grasso. Quelli che stimolano l’accumulo di grasso sono presenti soprattutto sulle cellule adipose dei fianchi e delle cosce nelle donne e sull’addome negli uomini. Una donna perse il 15 per cento del grasso corporeo ma quasi nulla sui fianchi e sulle cosce. Un uomo ridusse drasticamente il suo peso ma la pancia gli rimase.
Perdere peso calcolando le calorie non è così facile come pensano molti. Le calorie non sono tutte uguali. Assumete 100 calorie in carboidrati e ne immagazzinerete 77 sotto forma di grasso corporeo: 23 vengono bruciate per la digestione dei carboidrati. Ma assumete 100 calorie in un pezzetto di burro e 97 di esse saranno immagazzinate sotto forma di grasso: ne vengono consumate solo tre per la digestione. La ragione: il grasso alimentare è già chimicamente simile al grasso corporeo, per cui viene accumulato come tale molto più facilmente. Il calcolo delle calorie è solo un aspetto della faccenda. Anche la fonte di quelle calorie è importante. A parità di calorie, i cibi grassi fanno ingrassare di più e sono meno nutrienti dei carboidrati. Nel corso di uno studio, uomini sovralimentati con un regime ricco di carboidrati aumentarono di 13 chili in sette mesi, ma gli uomini sovralimentati con un regime ricco di grassi aumentarono di 13 chili in tre mesi.
Le diete liquide fanno perdere chili più in fretta, il che spesso causa complicazioni. Negli anni ’70 furono incoraggiate le diete a base di proteine liquide e per la fine del 1977 erano stati attribuiti ad esse circa 60 decessi. Si riteneva che la causa immediata di molti di questi decessi fosse stata l’aritmia ventricolare, cioè il battito rapido e irregolare dei ventricoli cardiaci. Le attuali diete liquide sono state migliorate con l’aggiunta non solo di proteine ma anche di carboidrati, grassi, vitamine e minerali. Ciò nonostante queste diete con apporto energetico molto ridotto che producono un rapido calo ponderale, hanno ancora certi svantaggi.
La drastica riduzione di calorie nelle diete che fanno dimagrire in fretta rallenta il metabolismo: la diminuzione comincia entro 24 ore, e nel giro di due settimane il metabolismo può rallentare addirittura del 20 per cento. Un medico interrogato in merito alle diete liquide ipocaloriche ha fatto questo commento: “Con così poche calorie il vostro metabolismo rallenterà enormemente, e vi accorgerete d’essere irritabili e stanchi. Inoltre, fino al 70% dei chili perduti a lungo termine riguarderà la massa muscolare, non il grasso”. Chi segue una dieta dimagrante vuole perdere il grasso, non i muscoli. Il tessuto muscolare è quello che brucia più calorie nell’organismo. Se lo si perde, si rallenta la velocità del metabolismo basale: la quantità di energia che il corpo impiega nelle normali funzioni, come respirazione e riparazione delle cellule. Ciò richiede circa il 60-75 per cento dell’energia consumata dal corpo.
Questo rallentamento del metabolismo è la ragione per cui spesso dopo alcune settimane di dieta rigorosa non si perde più peso. Una donna, che dall’età di 16 anni aveva tenuto sotto controllo il suo peso seguendo una dieta, con la nascita del primo figlio aumentò di 11 chili ma li perse in fretta; poi con la nascita del secondo figlio aumentò di 22 chili e non riusciva a perderli. Dice: “A un certo punto fui ricoverata in una clinica dove mi misero a 500 calorie al giorno. Persi quattro chili il primo mese, uno il secondo mese e nulla nei due mesi successivi malgrado il fatto che seguissi scrupolosamente il programma. Quando la quantità di calorie che potevo assumere fu portata a 800 al giorno, aumentai regolarmente un chilo la settimana finché non ebbi ripreso i 5 chili che avevo perso con tanta fatica. Che delusione!”
Oltre a un metabolismo più lento, la lipoproteinlipasi, un enzima che regola l’immagazzinamento del grasso, dopo una dieta d’urto può divenire più attiva nell’accumulare grasso. Per entrambe queste ragioni, quando ricominciano a mangiare normalmente alcuni riprendono i chili perduti. In effetti, la maggioranza riacquista i chili perduti: il 95 per cento nel caso dei molto obesi e il 66 per cento in generale. I chili ripresi, però, sono soprattutto grasso, non muscoli; questo significa un metabolismo ridotto con conseguente maggiore accumulo di grasso.
Un ricercatore notò che coloro che avevano perso peso in diete precedenti e l’avevano riacquistato facevano più fatica a perderlo di nuovo in diete successive. “È possibile che dopo ripetute diete sia più difficile dimagrire?”, si chiedeva. Furono fatti esperimenti su ratti obesi. Durante la prima dieta, impiegarono 21 giorni a perdere il peso in eccesso e, smessa la dieta, 45 giorni a riacquistarlo. In una seconda dieta impiegarono 46 giorni per perderlo e solo 14 giorni per riprenderlo: il doppio del tempo per perderlo e solo un terzo per riprenderlo!
Avviene la stessa cosa alle persone? Nel caso di 111 pazienti che seguivano una dieta ipocalorica, essi persero in media 1,4 chili la settimana, ma la seconda volta che seguirono la stessa dieta persero solo 1 chilo la settimana. Test di controllo effettuati su altri due gruppi di persone confermarono questi risultati.
Molti esperti dicono che l’obesità è una malattia, di carattere genetico, che è ereditaria, e che il corpo ha un “set point”, una specie di centro della regolazione del peso, che può destinare il soggetto a essere grasso. Ma non tutti gli scienziati concordano con le teorie sull’obesità. Una pubblicazione (Annals of the New York Academy of Sciences) dice che il sovrappeso stesso, quale che ne sia la causa prima, potrebbe provocare cambiamenti nella chimica dell’organismo: “Lo stato di obesità, una volta instauratosi, può essere stabilizzato da cambiamenti metabolici secondari generati dall’obesità stessa”.
La pubblicazione appena citata contesta anche la teoria del “set point”, fornendo “poche prove a sostegno dell’una o dell’altra ipotesi”. Tra le cause del sovrappeso sono citati i disturbi di natura ghiandolare, specie della tiroide, che ha un ruolo importante nella regolazione del metabolismo. Alcuni però osservano che il suo mancato funzionamento potrebbe essere causato da eccessi nel mangiare. Il dott. Riggle del Texas dice a questo proposito: “La tiroide regola il metabolismo, come anche l’ipofisi. Ma dobbiamo ricordare che chi prende cattive abitudini alimentari impedisce a queste ghiandole di ricevere i nutrienti di cui hanno bisogno per fabbricare i loro prodotti. Quindi i problemi di natura ghiandolare possono nascere da un regime alimentare sconsiderato”.
L’eccesso nel mangiare è la ragione pura e semplice dell’obesità, come pensano molti, inclusi alcuni esperti in materia: “Per la maggioranza degli obesi, però, l’accumulo di peso superfluo e di tessuto adiposo è con tutta probabilità indice di un processo lungo e spesso insidioso: eccessiva assunzione di calorie, per un sufficiente numero di giorni, in misura di gran lunga superiore al numero di quelle bruciate per il lavoro muscolare o metabolico”. (Annals of the New York Academy of Sciences, 1987, pagina 343) Così facendo espongono la propria salute a rischi davvero seri:
“L’obesità può mettere a repentaglio la salute in vari modi. Può compromettere sia la funzione cardiaca che quella polmonare, modificare la funzione endocrina e causare problemi emotivi. Ipertensione, ridotta capacità di metabolizzare il glucosio, e ipercolesterolemia sono più comuni tra le persone sovrappeso che tra quelle di peso normale. Pertanto non sorprende che l’obesità possa contribuire alla morbilità [stato patologico] e alla mortalità nelle persone affette da ipertensione, colpi apoplettici, diabete mellito insulino-indipendente o del tipo II, alcuni tumori e malattie della colecisti. A lungo termine, l’obesità è considerata anche un fattore di rischio indipendente per quanto concerne le malattie cardiache di natura aterosclerotica”. — Journal of the American Medical Association, 4 novembre 1988, pagina 2547.
C’è da preoccuparsi, vero? E non solo per i paroloni. È ovvio che per dimagrire si deve ingaggiare una battaglia, ma bisogna vincerla. Ci sono dei modi per conseguire la vittoria?

TABELLE ALTEZZA-PESO
Altezza Peso (in kg)
Costituzione Uomini
Alt. esile media robusta

157 58-60 59-63 62-67
160 58-61 60-64 63-69
163 59-62 61-65 64-70
165 60-63 62-67 65-72
168 61-64 63-68 66-74
170 62-65 64-69 67-76
173 63-67 65-71 68-77
175 64-68 67-72 70-79
178 65-69 68-73 71-81
180 66-71 69-75 72-83
183 67-72 71-76 74-85
185 68-74 72-78 76-86
188 70-76 74-80 77-89
190 71-77 75-82 79-91
193 73-79 77-84 81-93
DONNE
147 46-50 49-54 53-59
150 46-51 50-55 54-60
152 47-52 51-57 55-62
155 48-53 52-58 56-63
157 49-54 53-59 58-64
160 50-56 54-61 59-66
163 51-57 56-62 60-68
165 53-58 57-63 62-70
168 54-60 58-65 63-72
170 55-61 60-66 64-73
173 57-63 61-67 66-75
175 58-64 63-69 67-76
178 59-65 64-70 68-78
180 61-67 65-72 70-79
183 62-68 67-73 71-81

Se sono dimagrito io, può dimagrire chiunque!
ODIATE la vostra bilancia? Io la odiavo. Ricordo che l’anno scorso osservai con disgusto l’ago indicare un ennesimo peso record: quasi 110 chili. Mi dissi: ‘Peso più del campione del mondo dei pesi massimi e più di molti giocatori professionisti di football americano. La situazione non è solo ridicola. Sta diventando pericolosa!’
Forse conoscete qualcuno che mi assomiglia: un impiegato sulla quarantina, che da giovane ha fatto esercizio fisico e ora sporadicamente si mette a far ginnastica, quando non è assorbito dalla lettura del giornale. Ha la pressione alta, appena sotto il limite dell’ipertensione, il colesterolo “un po’” alto, 20 chili di troppo, ed è ancora convinto che in fondo la sua situazione non è poi così grave.
E invece la situazione è grave. Persone come me muoiono ogni giorno stroncate da attacchi cardiaci, e sono in molti ad avere attacchi cardiaci. Potrei citare le statistiche relative ai rischi che comporta ogni chilo in più, ma il problema non sono le statistiche. Il problema, diciamolo chiaro, sono le vedove e gli orfani. Sono i figli, come le mie due bambine, che crescono senza il papà.
Pensateci, voi papà.
Dopo aver deciso di dimagrire, ricordai in particolare i “Quattro modi per vincere” la battaglia contro il grasso. I quattro modi suggeriti erano: (1) gli alimenti giusti, (2) al tempo giusto, (3) nella quantità giusta, (4) con il giusto esercizio fisico.
Questi suggerimenti funzionano! Seguendoli sono dimagrito di 30 chili, e potete dimagrire anche voi. Nel farlo ho imparato alcune cose che forse vi saranno utili.
Si comincia a dimagrire dalla testa
Quasi tutti noi che siamo sovrappeso siamo ingrassati lentamente, di qualche chilo all’anno, e probabilmente abbiamo cominciato a metter su pancia quando eravamo sulla trentina. Di tanto in tanto ci siamo messi a dieta e abbiamo perso qualche chilo, che poi però abbiamo ricuperato con gli interessi. Quando questo capitava a me, provavo un senso di quieta rassegnazione, come dire: ‘Non ci posso fare niente, e allora perché tentare?’
Per spezzare questo circolo vizioso di quieta rassegnazione bisogna cominciare a dimagrire non dalla pancia ma dalla testa, cambiando il proprio modo di pensare in relazione al cibo. Forse ci vorrà un po’ di crudo realismo, ma senza questo la dieta rischia di fallire in partenza.
Nel mio caso, annotare per una settimana tutto ciò che mangiavo e bevevo è stata un’esperienza rivelatrice. Era vero che all’ora dei pasti mangiavo leggero, ma gli interminabili spuntini serali mandavano in fumo tutto ciò che avevo guadagnato padroneggiandomi durante il giorno. Quando feci il conto delle calorie del formaggio, delle nocciole, del burro di arachidi e dei biscotti che divoravo dopo cena, rimasi sbalordito. Peggio ancora, quegli spuntini erano ricchi di grassi e di zuccheri. Nel mio caso nessuna dieta avrebbe funzionato se non avessi eliminato gli spuntini serali. Questo vi dice qualcosa?
La successiva scoperta dolorosa fu che non sarei mai dimagrito definitivamente a meno che non avessi eliminato tutti gli alcolici dalla mia dieta. Non solo l’alcool contiene molte calorie e viene facilmente convertito in grasso, ma un bicchiere di vino la sera è sufficiente a togliermi la forza di volontà di cui ho bisogno per resistere alla tentazione di fare uno spuntino. Un bicchiere di vino non è solo un bicchiere di vino. Per me significa anche sei biscotti e una manciata di nocciole! Ho scoperto che i tè alle erbe possono essere delle ottime alternative. Ora, anche dopo aver raggiunto il peso che mi ero prefisso, bevo meno alcool di prima.
Queste oneste considerazioni mi hanno convinto della bontà di due rigide regole da seguire durante la dieta dimagrante:
1. Evitare tutti gli spuntini alla sera.
2. Evitare tutti gli alcolici.
Scoprite i vostri cibi anti-dieta!
Si dice che l’appetito vien mangiando. Per molti di noi è veramente così. Forse quando ci sediamo a tavola davanti al nostro piatto preferito non abbiamo fame, ma non appena cominciamo a mangiare dentro di noi scatta qualche meccanismo e di colpo ci viene una fame da lupi. Così ci rimpinziamo finché non abbiamo fatto fuori tutto o finché, dopo la quarta porzione, il nostro stomaco dolorante implora pietà. Cos’è accaduto?
Nel mio caso il problema era il pane, specie quello fatto in casa. La mia paziente moglie, che fa un pane delizioso, per un certo periodo di tempo ha dovuto smettere di farlo. Si può resistere alle tentazioni solo fino a un certo punto! Forse il vostro tallone d’Achille è la cioccolata, o qualcos’altro. L’importante è identificare il nemico. Fate un elenco dei cibi che vi stuzzicano l’appetito ed evitateli. Le alternative non mancano. Io ho riscontrato che le insalate e le verdure cotte al vapore mi piacciono e mi saziano senza far scattare in me l’irresistibile desiderio di continuare a mangiare.
Superare il punto critico
Le diete yo-yo, in cui si perdono dei chili solo per ricuperarli subito dopo, sono una trappola per allocchi e servono solo ad arricchire gli spacciatori di diete, che nella maggioranza dei paesi occidentali sviluppati sono molto numerosi. Avendo già fatto la mia parte di diete yo-yo, ero deciso a non ricadere nello stesso errore. Ma come fare?
Non vergognatevi di chiedere aiuto. Parlatene con il vostro medico. Trovate qualcuno che vi loderà e vi gratificherà settimana dopo settimana man mano che perderete i vostri chili superflui. Può trattarsi di un amico che è anche lui a dieta, di un familiare, o del personale di una clinica rispettabile in cui si effettuano cure dimagranti. La collaborazione e il sostegno che riceverete vi aiuteranno a superare il punto critico, il punto in cui in passato i vostri sforzi per dimagrire si sono arenati. A questo punto vi sentirete meglio, e gli altri cominceranno a complimentarsi con voi per il vostro aspetto. Da questo momento in poi i fattori psicologici giocheranno a vostro favore anziché contro di voi.
Un altro elemento essenziale per superare il punto critico è avere una dieta che sia ragionevole e che non vi faccia sentire affamati o sacrificati. Ho riscontrato che i migliori consigli dietetici che ho ricevuto non facevano che ripetere, con poche variazioni, ciò che diceva quel numero di Svegliatevi! del 22 maggio 1989 a proposito degli alimenti giusti. La mia dieta dimagrante consiste in fiocchi d’avena o di altri cereali a basso contenuto di grassi oppure una focaccina dietetica con mezzo pompelmo a colazione, un’abbondante insalata con un condimento a basso contenuto di grassi a pranzo e verdura cotta al vapore con carne magra a cena, senza pane né dessert. Con le sue 1.200-1.500 calorie al giorno, è una dieta rigida ma per nulla draconiana. Una mela è un pratico spuntino a metà giornata, e nelle rare occasioni in cui non riesco a ignorare i morsi della fame ricorro sempre a una delle mie armi segrete, un meraviglioso segreto salva-dieta che è bene sappiate anche voi.
Armi segrete
Qual è questo segreto? È una sostanza che giova alla salute, sazia quasi all’istante, non contiene nessuna caloria e costa pochissimo: l’acqua! È incredibile cosa possono fare da sei a otto bicchieri d’acqua al giorno per aiutarvi ad avere successo nella vostra dieta. Una volta che il corpo impara che siete decisi a rispondere ai morsi della fame con un bicchiere d’acqua, questi morsi cominciano ad affievolirsi. È stata soprattutto l’acqua a permettermi di vincere la mia inveterata abitudine dello spuntino serale.
Un’altra arma segreta per tenere sotto controllo il proprio peso nel tempo è l’esercizio fisico fatto in maniera regolare. Naturalmente, tutti abbiamo sentito dire che fare ginnastica aiuta a dimagrire, per cui dove sta il segreto? In questo caso sta nell’enorme incentivo psicologico che deriva dal sentirsi meglio e dall’avere un aspetto migliore. Questo ripaga abbondantemente della rinuncia a qualche alimento. Vi aiuta ad andare avanti, senza provare invidia quando tutti gli altri mangiano la mousse alla cioccolata e voi mangiate uva.
Dieta ed esercizio fisico si completano a vicenda in maniera perfetta. Dimagrire non significa necessariamente avere un aspetto malaticcio. Facendo ginnastica in maniera regolare avrete un bel colorito e vi rassoderete i muscoli. Anzi, nel mio caso la maggiore compattezza dei muscoli ha dato agli altri l’impressione che stessi dimagrendo più in fretta di quanto in realtà stava accadendo! Scoprii che avevo bisogno sia di sport da praticare in compagnia di qualcun altro, come il tennis, che di esercizi che potevo fare da solo in qualsiasi momento, come quelli con i pesi. Proprio come l’esercizio fisico faceva sembrare più efficace la dieta, la dieta faceva sembrare più efficace l’esercizio fisico mettendo allo scoperto muscoli che erano rimasti nascosti sotto dieci anni di flaccidezza. Quando scesi da 110 chili a 80, a volte capitava che non vedevo l’ora di fare ginnastica insieme ad alcuni sani adolescenti della zona per vedere se potevano tenere il mio ritmo!
Se siete sovrappeso da lungo tempo come lo sono stato io, forse siete abituati a sentirvi oppressi e stanchi quando vi alzate la mattina, a trascinarvi con lentezza durante il giorno e ad appisolarvi sulla poltrona la sera. Portarsi addosso 20 o 30 chili in più è come andare in giro con una palla al piede! Non ricordavo più come ci si sente a saltare giù dal letto la mattina desiderosi di alzarsi, pronti ad affrontare la giornata pieni di energie. Ora lo so.
Una guerra che non finisce mai
Raggiungere il peso che vi eravate prefissi è come vincere una lunga battaglia. Ma anche se quella prima battaglia è finita, la vera guerra è appena cominciata. Le persone di mezza età come me che hanno un lavoro sedentario devono stare sempre attente a ciò che mangiano se non vogliono ricuperare quei chili che hanno perso con tanta fatica. Il segreto è considerare la dieta come un’impresa che dura tutta la vita. Forse da una dieta dimagrante si passerà a una di mantenimento, ma non si cesserà mai di essere a dieta. Tornare alle precedenti abitudini alimentari significa tornare anche ad essere sovrappeso.
Una volta raggiunto il peso desiderato, perché non premiarvi comprandovi qualche vestito nuovo? Quindi pensate all’opportunità di disfarvi dei vecchi vestiti. Tenere quei vestiti vecchi e cascanti ‘perché non si sa mai’ è come condannarsi a fallire. Indossate abiti non troppo larghi, e questi vi avviseranno subito se i centimetri indesiderati cominceranno a tornare. Anche se la dieta di mantenimento sarà più varia di quella dimagrante, da ora in poi scegliete sempre alimenti a basso contenuto di grassi e di zuccheri. E non cessate di fare esercizio fisico: è essenziale per sentirsi bene.

Diabete, conoscerlo per meglio combatterlo


Diabete: Il problema di curarsi
“Non c’è un caso di diabete che non sia critico. È sempre grave”. — Anne Daly, American Diabetes Association.
“LE SUE analisi del sangue rivelano notevoli anomalie. Deve curarsi immediatamente”. Le parole del medico colpirono Deborah come una mazzata. “Quella notte continuai a pensare che doveva trattarsi di un errore di laboratorio. Mi dicevo che non era possibile che fossi malata”.
Come molti, Deborah pensava di essere abbastanza sana, perciò non dava peso ai sintomi fastidiosi. Pensava che la sete persistente fosse dovuta agli antistaminici che prendeva. Attribuiva la frequente urinazione al fatto che beveva troppa acqua. E la stanchezza: beh, quale madre che lavora non si sente esausta?
Ma poi un’analisi del sangue confermò che la causa dei suoi problemi era il diabete. Fu difficile per Deborah accettare la diagnosi. “Non parlai a nessuno della mia malattia”, dice. “La notte, quando tutti dormivano, stavo al buio con gli occhi fissi nel vuoto e piangevo”. Apprendendo di avere il diabete alcuni, come Deborah, provano sentimenti contrastanti, fra cui scoraggiamento e persino rabbia. “Passai un periodo penoso durante il quale rifiutavo di accettare la realtà”, dice Karen.
Queste sono reazioni naturali a quello che sembra un tiro mancino. Ma con un po’ di incoraggiamento i diabetici riescono ad adattarsi. “L’infermiera mi aiutò ad accettare la mia malattia”, dice Karen. “Mi tranquillizzò dicendo che era normale piangere. Quello sfogo mi aiutò a rassegnarmi”.
Perché è grave
A ragione il diabete è stato definito “un disturbo del motore stesso della vita”. Quando l’organismo non riesce a metabolizzare il glucosio, diversi meccanismi vitali possono smettere di funzionare, a volte con conseguenze potenzialmente letali. “Non si muore direttamente di diabete”, dice il dott. Harvey Katzeff, “si muore per le complicazioni. Riusciamo abbastanza bene a prevenire le complicazioni, ma non a curarle una volta che insorgono”.
C’è speranza per coloro che soffrono di diabete? Sì, se capiscono la gravità della malattia e si sottopongono a un programma terapeutico.
Dieta ed esercizio fisico
Il diabete di tipo I non si può prevenire, ma gli scienziati stanno studiando i fattori di rischio genetico per cercare di trovare il modo di impedire una reazione immunologica. (Vedi il riquadro “Il ruolo del glucosio”, a pagina 8). “Con il diabete di tipo II la situazione è molto migliore”, dice un libro sull’argomento. “Molti di coloro che potrebbero essere geneticamente a rischio, evitano di manifestare i sintomi di questa malattia semplicemente seguendo una dieta equilibrata e facendo regolare esercizio fisico, per rimanere in forma e mantenere il proprio peso entro limiti normali”. — Diabetes—Caring for Your Emotions as Well as Your Health.
La rivista medica JAMA (Journal of the American Medical Association) riportava un’estesa ricerca riguardante le donne che sottolineava l’importanza dell’esercizio fisico. La ricerca rilevava che “un breve periodo di attività fisica aumenta per più di 24 ore [nelle cellule] la capacità di assorbimento del glucosio mediato dall’insulina”. Quindi la relazione concludeva che “sia il camminare che la vigorosa attività fisica sono associati a sostanziali riduzioni del rischio di diabete di tipo II nelle donne”. I ricercatori raccomandavano almeno mezz’ora di attività fisica moderata tutti i giorni della settimana o quasi. Può essere qualcosa di semplice come una camminata, che, secondo un manuale per diabetici “è probabilmente l’esercizio fisico migliore, più sicuro e meno costoso”. — American Diabetes Association Complete Guide to Diabetes.
Tuttavia i diabetici dovrebbero fare esercizio fisico sotto il controllo di personale specializzato. Una ragione è che il diabete può danneggiare il sistema nervoso e quello vascolare, compromettendo la circolazione del sangue e il senso del tatto. Quindi un semplice graffio a un piede potrebbe venire trascurato, infettarsi e trasformarsi in un’ulcera: lesione grave che se non viene curata immediatamente potrebbe portare all’amputazione.
Comunque un programma di esercizio fisico può aiutare a tenere sotto controllo il diabete. “Più i ricercatori studiano i vantaggi dell’esercizio regolare”, dice il manuale citato sopra, “più ne constatano i benefìci”.
Trattamento insulinico
Molti diabetici devono integrare la dieta e l’esercizio fisico con test quotidiani della glicemia e iniezioni multiple di insulina. Poiché la loro salute è migliorata grazie alla dieta e a un buon programma di esercizio fisico, alcuni malati di diabete di tipo II sono stati in grado, almeno temporaneamente, di interrompere il trattamento insulinico. Karen, che ha il diabete di tipo I, ha riscontrato che l’esercizio fisico aumenta l’efficacia dell’insulina che si inietta. Di conseguenza ha potuto ridurre del 20 per cento il fabbisogno giornaliero di insulina.
Se l’insulina è necessaria, però, non c’è ragione che il diabetico si scoraggi. “La necessità di assumere insulina non è un insuccesso da parte del paziente”, dice Mary Ann, un’infermiera diplomata che cura diversi diabetici. “Qualunque sia la forma di diabete di cui si soffre, l’attento controllo della glicemia ridurrà al minimo altri problemi di salute in seguito”. Difatti uno studio recente ha rivelato che i pazienti con il diabete di tipo I che tenevano sotto stretto controllo la glicemia presentavano molto meno casi di retinopatie, malattie renali e neuropatie di origine diabetica”. Il rischio di retinopatia, per esempio, era ridotto del 76 per cento. Quelli con il diabete di tipo II che tengono sotto controllo la glicemia hanno benefìci simili.
Per rendere il trattamento insulinico più agevole e meno traumatico, le siringhe e le penne a insulina (l’apparecchio usato più comunemente) hanno aghi estremamente sottili che danno pochissimo fastidio. “Di solito la prima iniezione è la peggiore”, dice Mary Ann. “Poi la maggior parte dei pazienti dice che non sente quasi niente”. Altri metodi di iniezione includono iniettori automatici che inseriscono in maniera indolore un ago nella pelle, iniettori a getto che letteralmente sparano l’insulina attraverso la pelle mediante un getto sottilissimo, e infusori che impiegano un catetere che rimane fisso per due o tre giorni. Negli ultimi anni è entrata sempre più nell’uso la pompa insulinica, più o meno delle dimensioni di un piccolo telefono cellulare. Questo strumento programmabile fornisce un’infusione continua di insulina secondo le necessità giornaliere, rendendone più comoda e precisa la somministrazione.
Si continua a imparare
Tutto sommato non esiste una terapia generalizzata per il diabete. Nella scelta della cura a cui sottoporsi, ciascuno deve tener conto di diversi fattori per prendere una decisione. “Anche se siete seguiti da un’équipe medica”, dice Mary Ann, “sta a voi decidere la via da seguire”. Difatti una rivista specializzata dice: “Curare il diabete senza educare sistematicamente il paziente all’autogestione può essere considerato un approccio scadente e poco etico”. — Diabetes Care.
Più i diabetici conoscono la loro malattia, più saranno in grado di gestire la propria salute e avere la prospettiva di vivere più a lungo e avere una vita più sana. Un’educazione efficace, però, richiede pazienza. Un libro spiega: “Se cerchi di imparare tutto subito, probabilmente sarai confuso e non utilizzerai le informazioni in modo efficace. Inoltre molte delle informazioni più utili di cui avrai bisogno non si trovano in libri e opuscoli. Hanno a che fare . . . con le variazioni glicemiche dovute a cambiamenti di attività. Questo si impara solo con il tempo e per tentativi”. — Diabetes—Caring for Your Emotions as Well as Your Health.
Per esempio, con un attento monitoraggio imparate come reagisce il vostro organismo allo stress, che può far salire all’improvviso la glicemia. “Da 50 anni convivo con il diabete”, dice Ken, “e ho imparato a conoscerne i sintomi!” È valsa la pena “ascoltare” il suo organismo, perché Ken è ancora in grado di svolgere un lavoro a tempo pieno, anche se ha più di 70 anni.
L’importanza del sostegno della famiglia
Nella cura del diabete non va sottovalutato il sostegno della famiglia. Infatti una pubblicazione osserva che “la qualità della vita familiare forse è il più efficace fattore singolo” che permette di tenere sotto controllo il diabete nei bambini e nei giovani adulti.
È utile che i membri della famiglia imparino a conoscere il diabete, magari alternandosi nell’accompagnare il malato dal medico. La conoscenza li aiuterà a essere di aiuto, a riconoscere sintomi importanti e a sapere cosa fare. Ted, la cui moglie ha il diabete di tipo I da quando aveva quattro anni, dice: “Capisco quando la glicemia di Barbara si abbassa troppo. Si azzittisce nel mezzo della conversazione. Suda abbondantemente e si arrabbia senza ragione. E le sue reazioni rallentano”.
Similmente quando Catherine, la moglie di Ken, nota che lui diventa pallido e sudaticcio e vede che si comporta in modo strano, gli presenta un semplice problema matematico. Se risponde in modo confuso, Catherine sa che deve intervenire per porre subito rimedio alla situazione. Sia Ken che Barbara sono molto riconoscenti di avere un coniuge ben informato che amano e di cui hanno piena fiducia.
I familiari amorevoli dovrebbero sforzarsi di essere incoraggianti, gentili e pazienti, qualità che aiutano il malato ad affrontare i problemi della vita e anche influiscono positivamente sul decorso della malattia. Il marito di Karen le assicurò che l’amava, il che significò molto per lei. Karen riferisce: “Nigel mi disse: ‘La gente ha bisogno di cibo e acqua per vivere, proprio come tu hai bisogno di cibo e acqua, e di una piccola dose di insulina’. Quelle parole affettuose ma pratiche erano proprio quello di cui avevo bisogno”.
Familiari ed amici devono capire inoltre che le fluttuazioni della glicemia possono influire sull’umore del diabetico. “Quando ho problemi di glicemia”, dice una donna, “divento taciturna, malinconica, agitata e frustrata. Allora mi vergogno di comportarmi in modo così puerile. Mi aiuta sapere che gli altri capiscono il perché di questo mio atteggiamento, che cerco di controllare”.
Il diabete si può tenere sotto controllo, specie se chi ne soffre ha la cooperazione di amici e familiari. Anche i princìpi biblici possono aiutare. In che modo?

Il grasso eccessivo intorno alla vita sembra costituire un rischio maggiore del grasso sui fianchi.
I fumatori corrono un rischio ancora maggiore, poiché il fumo nuoce al cuore e all’apparato circolatorio, e restringe i vasi sanguigni. Una pubblicazione afferma che il 95 per cento delle amputazioni riconducibili al diabete riguardano fumatori.
Alcuni sono stati aiutati da un trattamento orale. Questo consiste nell’assumere farmaci che stimolano il pancreas a produrre più insulina, altri che rallentano l’aumento di glucosio nel sangue, e altri ancora che riducono la resistenza all’insulina. (Il trattamento orale di solito non viene prescritto per il diabete di tipo I). Attualmente non si può assumere l’insulina per via orale, perché la digestione demolisce questa proteina prima che raggiunga il torrente sanguigno. Né il trattamento insulinico né i farmaci assunti per via orale eliminano la necessità dell’esercizio fisico e di una buona alimentazione.
Le autorità in campo sanitario raccomandano che i diabetici portino sempre con sé una tessera di identificazione oppure un braccialetto o una catenella con una targhetta indicante che hanno questa malattia: in momenti critici possono salvare la vita. Una crisi ipoglicemica, per esempio, può essere scambiata per un altro disturbo o persino per ubriachezza.
Il ruolo del glucosio
Il glucosio è la fonte energetica delle migliaia di miliardi di cellule del corpo. Per penetrare nelle cellule, però, ha bisogno di una “chiave”: l’insulina, un ormone secreto dal pancreas. Con il diabete di tipo I il pancreas non produce insulina. Con il diabete di tipo II ne produce, ma di solito non abbastanza. Inoltre le cellule sono riluttanti ad accettare l’insulina, si verifica cioè una insulino-resistenza. In entrambe le forme di diabete il risultato è lo stesso: cellule che non ricevono il glucosio necessario e pericolosi livelli di zuccheri nel sangue.
Nel diabete di tipo I il sistema immunitario attacca le cellule β del pancreas che producono l’insulina. Perciò il diabete di tipo I è una malattia autoimmune. Tra i fattori che possono scatenare una reazione immunitaria vi sono virus, sostanze chimiche tossiche e certi farmaci. Anche la predisposizione genetica potrebbe avere la sua parte, dato che il diabete di tipo I spesso si trova in determinate famiglie ed è più comune fra i caucasici.
Nel diabete di tipo II il fattore genetico è ancora più forte, ma si riscontra soprattutto fra i non caucasici. Fra i più colpiti sono gli aborigeni australiani e i nativi americani, e questi ultimi hanno la percentuale più alta del mondo di diabete di tipo II. I ricercatori stanno studiando la relazione tra fattori genetici e obesità, e anche il modo in cui il grasso eccessivo sembra aumentare la resistenza all’insulina negli individui geneticamente a rischio. A differenza del tipo I, il diabete di tipo II si manifesta soprattutto negli ultraquarantenni.
Il ruolo del pancreas
Il pancreas, che ha all’incirca le dimensioni di una banana, si trova proprio dietro lo stomaco. Secondo un libro, “il pancreas sano compie una continua azione equilibratrice, riuscendo a stabilizzare il livello del glucosio nel sangue in quanto secerne la giusta quantità di insulina via via che durante il giorno il livello del glucosio aumenta e diminuisce”. (The Unofficial Guide to Living With Diabetes) Le cellule β all’interno del pancreas sono la fonte dell’ormone insulina.
Quando le cellule β non producono abbastanza insulina, il glucosio si accumula nel sangue, provocando iperglicemia. Il contrario, la bassa concentrazione di glucosio nel sangue, si chiama ipoglicemia. Insieme al pancreas, il fegato contribuisce a mantenere normale il livello del glucosio nel sangue accumulando il glucosio in eccesso sotto forma di glicogeno. Quando il pancreas lo richiede, il fegato trasforma di nuovo il glicogeno in glucosio che viene utilizzato dall’organismo.
Il ruolo degli zuccheri
L’idea diffusa che mangiare molti zuccheri causi il diabete è sbagliata. La medicina dimostra che ingrassare, indipendentemente dall’assunzione di zuccheri, aumenta la probabilità fra gli individui geneticamente a rischio. Comunque, mangiare troppi dolci non è sano, poiché contengono pochissime sostanze nutritizie e favoriscono l’obesità.
Un’altra idea sbagliata è che i diabetici abbiano una voglia matta di dolci, mentre in realtà provano lo stesso desiderio delle persone in genere. Quando non è tenuto sotto controllo, il diabete può provocare fame, ma non necessariamente di cose dolci. I diabetici possono mangiare dolci, ma devono tener conto degli zuccheri che assumono nel programmare la propria dieta.
Studi recenti hanno dimostrato che un’alimentazione ricca di fruttosio (zucchero derivato da frutta e verdura) può contribuire alla insulino-resistenza e persino al diabete negli animali, indipendentemente dal loro peso.

Il diabete in poche parole
PANCREAS
↓ ↓ ↓
Persona sana Diabete di tipo I Diabete di tipo II
Dopo un pasto il Le cellule β del Nella maggioranza
pancreas risponde pancreas che dei casi il pancreas
al maggiore producono insulina produce una quantità
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Questo a sua volta assorbire il
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glucosio di
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↓ ↓ ↓
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assorbito e nel torrente sanguigno,
bruciato dalle impedendo processi vitali
cellule muscolari. e danneggiando le pareti
Così il livello dei vasi sanguigni
di glucosio
nel sangue
torna normale

Vivere col diabete
KATHY è una giovanetta. Bada alla dieta e al peso, fa molto esercizio e segue le istruzioni del medico. Fa anche iniezioni di insulina ogni giorno. Kathy è una dei molti milioni di persone che hanno il diabete.
Nonostante tutte le sue precauzioni Kathy ammette: “Non so mai qual è il livello del glucosio nel sangue. Un pomeriggio può essere 300. Il giorno dopo, con lo stesso programma, può essere 50 e posso subire uno shock da insulina”. Non molto tempo fa prese un’infezione che non guariva e trascorse settimane in ospedale.
Mae è una donna anziana. Non bada alla dieta e, come risultato, pesa 23 chili più del normale. Ammette di non seguire molto attentamente le prescrizioni del suo medico. Non si preoccupa del fatto che il glucosio nel sangue vada spesso oltre 300 e si rifiuta di prendere l’insulina. Benché prenda in realtà una pillola per il diabete ogni giorno, sembra sorprendentemente incurante della sua malattia.
Per quanto sembrino diverse, entrambe queste donne hanno la stessa malattia. Si chiama diabete mellito. Perché c’è tale differenza fra loro due? Ciò che più conta, cosa possono fare per vivere col loro diabete?
Che cos’è il diabete?
Prima di tutto, dobbiamo capire che cos’è il diabete. Un fattore chiave della malattia ha a che fare con la capacità del corpo di produrre insulina, un ormone secreto dal pancreas. L’insulina permette al corpo di prendere lo zucchero dal torrente sanguigno e portarlo dentro le cellule dove è usato per produrre energia o vi è conservato.
Comunque, se il corpo non produce abbastanza insulina, poco zucchero perverrà alle cellule per produrre energia o esservi conservato. Invece, lo zucchero raggiunge alti livelli nel sangue e comincia a causare problemi. Detto in parole semplici, questo è il diabete. E ce ne sono due tipi principali, com’è illustrato dai casi di Kathy e Mae.
Nel caso di Kathy, la malattia si chiama diabete mellito insulino–dipendente, o diabete di I tipo. Il problema qui è nell’incapacità del pancreas di produrre insulina. Recenti evidenze indicano che questo tipo di diabete può essere causato, almeno a volte, da infezioni virali. La persona che ha questo tipo di diabete di solito lo contrae in giovane età (sotto i 30 anni), è di solito magra e per vivere ha bisogno di iniezioni di insulina.
Nel caso di Mae, la malattia si chiama diabete mellito insulino–indipendente, o diabete di II tipo. Spesso vi si fa riferimento come al diabete adulto ed è diverso dal I tipo. Qui il problema non è che il pancreas non produce insulina, ma che non ne produce abbastanza. Molta dell’insulina che produce è assorbita dalle cellule adipose. Il pancreas non ne può produrre abbastanza per affrontare la situazione, e il glucosio presente nel sangue aumenta. Le persone che hanno questo tipo di diabete hanno di solito superato i 30 anni, sono grasse e a volte possono fare a meno delle iniezioni di insulina. In più sembra che il loro diabete sia ereditario.
Cura del diabete di I tipo
Il diabete di Kathy, di I tipo, è molto più serio, per quanto meno comune. Sembrerebbe che la soluzione per il I tipo sia semplice, solo somministrare l’insulina. Comunque, benché le iniezioni d’insulina mantengano il diabetico in vita, non possono tener conto della variazione del livello d’insulina di cui il corpo ha bisogno minuto per minuto.
Per ridurre al minimo le complicazioni del diabete, come la cecità e le affezioni renali, è importante ridurre la quantità di glucosio nel sangue e nell’urina. Bisogna imitare le normali e frequenti variazioni d’insulina nel corpo. Ma la questione è esattamente come far questo. La terapia è duplice: (1) cura preventiva e (2) somministrazione dell’insulina.
Con la cura preventiva, si devono fare i passi per ridurre al minimo le variazioni giornaliere del bisogno d’insulina del corpo. Un fattore vitale è l’alimentazione della persona, poiché questo è ciò che il sistema digestivo trasforma in glucosio nel sangue. La persona prudente affetta dal diabete di I tipo impara presto che deve avere una dieta ben regolata. Questa comprende sia i più complessi carboidrati che grassi e proteine. Tale dieta evita zucchero, miele, dolciumi, bevande gassate contenenti zucchero e simili. Questi carboidrati entrano rapidamente nel torrente sanguigno.
Questa dieta si deve presentare al corpo a intervalli regolari. Se il diabetico diviene incurante, mangiando qualunque cosa gli piaccia in qualsiasi tempo, ha un rapido squilibrio dei livelli d’insulina e glucosio nel sangue. Questo lo lascia esposto a rapide e gravi infermità o a complicazioni a lungo termine della malattia.
L’esercizio fisico abbassa la glicemia. Quindi il diabetico coscienzioso del I tipo include nel programma quotidiano l’esercizio fisico, badando di avere a disposizione una rapida sorgente di zucchero (come una caramella) nel caso che l’esercizio fisico faccia abbassare troppo la glicemia. Questo può portare a uno shock diabetico. Anche le emozioni possono influire sulla glicemia e possono esser causa di scarsa padronanza di sé riguardo alla dieta. Infezioni e infermità devono essere curate rapidamente, giacché possono alterare notevolmente il livello del glucosio nel sangue.
Tuttavia, sebbene il paziente diabetico di I tipo, come Kathy, prenda in considerazione tutti questi fattori, può ancora trovare difficoltà a rendere stabile la glicemia. Allora che fare?
Il secondo aspetto principale della cura è l’uso di iniezioni di insulina. Quando l’insulina fu resa disponibile più di 60 anni fa, servì a salvare la vita a molti diabetici. E il successivo sviluppo di un’iniezione al giorno fu considerato all’inizio come un grande vantaggio.
Anche se le iniezioni giornaliere sono più convenienti, c’è qualche preoccupazione circa le possibili complicazioni a lungo termine, come l’indurimento delle arterie. Perciò, alcuni raccomandano più frequenti iniezioni d’insulina ad azione breve per tenere più strettamente sotto controllo il glucosio nel sangue durante il corso della giornata. Parecchi sviluppi recenti l’hanno reso non solo possibile ma pure pratico.
Quello del controllo domestico del glucosio nel sangue è stato definito “il primo vero progresso terapeutico significativo dalla scoperta dell’insulina”. Usando una semplice macchina portatile, il diabetico può controllare il livello del glucosio nel suo sangue parecchie volte al giorno. Così può regolare da sé il dosaggio dell’insulina e si può avvicinare maggiormente ai costanti valori normali della glicemia.
Uno svantaggio del controllo domestico è che il diabetico si deve pungere il dito per l’esame del sangue. Ma ci sono per questo strumenti speciali, e gli esperti di questa operazione dicono che realmente non c’è male. Un altro svantaggio è il costo della macchina. Comunque, la spesa dovrebbe diminuire con la migliorata tecnologia.
Altri vantaggi comprendono la produzione di aghi per iniettare insulina non costosi, da gettar via dopo l’uso, molto affilati. Questi hanno reso le iniezioni d’insulina meno penose. Per di più, l’insulina oggi disponibile non dev’essere più refrigerata; così si evita un serio inconveniente quando si viaggia.
Ora è stata commercializzata insulina che equivale all’insulina umana ed è spesso raccomandata a coloro ai quali è stato diagnosticato di recente il diabete di I tipo. Ci sono anche nuovi iniettori d’insulina pressurizzati, senza ago, e pompe per l’infusione dell’insulina. La pompa è un iniettore d’insulina portatile che il paziente indossa sulla cintura. Essa inietta costantemente insulina per mezzo di un ago nella cavità addominale. La pompa per l’infusione, benché oggi in uso, è da molti medici considerata alquanto pericolosa e dovrebbe essere usata solo sotto la direttiva di uno specialista.
Riguardo ai fanciulli che sono diabetici del I tipo, una recente tendenza è stata quella di preoccuparsi meno della dieta. Alcuni pensano che possano seguire una dieta relativamente normale e quindi integrare quella dieta con qualunque quantità d’insulina necessaria. Naturalmente, tali fanciulli non dovrebbero tuttavia mangiare molti dolci. La vera cosa basilare perché vivano una vita relativamente normale sembra quella di fare un attento controllo del glucosio nel sangue e frequenti somministrazioni d’insulina.
Cura del diabete di II tipo
Nella cura del più comune diabete di II tipo i progressi non sono stati proprio altrettanto numerosi. Come è stato già osservato, qui non si tratta dell’assoluta incapacità del pancreas di produrre insulina. Si tratta dell’incapacità del pancreas di essere all’altezza del crescente bisogno d’insulina da parte del corpo, di solito peggiorato dall’eccesso di peso.
Quantunque siano estesamente usate pillole, queste servono tutte a spingere il pancreas a produrre più insulina. Ma c’è un limite alle ‘frustate che un cavallo stanco può sopportare’, in questo caso, un pancreas stanco. Una buona dieta che riduce il peso e limita gli zuccheri semplici, accompagnata dall’assennato esercizio fisico, può essere più utile.
Se la dieta, l’esercizio fisico e l’astensione dai dolci non abbassano abbastanza il livello di glucosio nel sangue, allora si possono prescrivere pillole. Qui le opinioni variano. Alcuni medici preferiscono usare iniezioni d’insulina anziché pillole, anche nei diabetici di II tipo. Le pillole possono produrre effetti collaterali, e c’è qualche dubbio in quanto a se realmente aiutano a prevenire le complicazioni a lungo termine.
In ciascun caso, tutti i fattori devono essere soppesati da medici competenti prima di raccomandare la cura. E il diabetico deve ponderare le raccomandazioni e prendere la decisione finale circa ciò che farà.
Come vivere col vostro diabete
Pertanto, curare il diabete significa fare diversi passi, secondo il tipo da cui si è affetti. Per il II tipo di diabete la soluzione può essere la dieta e la perdita di peso. Ma un medico dichiarò: “Realisticamente, la mia esperienza ha mostrato che c’è poca probabilità che questo accada. Nella maggioranza dei casi sono preparato a dare ai miei pazienti pillole o anche insulina dal principio”.
Per il I tipo di diabete, la soluzione che il paziente viva con la malattia non è così semplice. Comunque, anche qui, in parte la risposta forse non è nel trattamento medico relativo ma nell’atteggiamento dell’individuo verso il diabete. È vero che la prospettiva di fare iniezioni giornaliere, forse parecchie volte al giorno non è piacevole, né lo è pungersi il dito per verificare il glucosio nel sangue. Neppure è facile assicurarsi che la propria vita sia organizzata fino al punto di mangiare ogni giorno alimenti simili a intervalli regolari verso la stessa ora, e che siano debitamente programmati esercizio fisico e riposo.
Nello stesso tempo, si è realistici accettando il fatto che al presente non c’è guarigione per i diabetici. Ma c’è una cura che, sebbene richieda disciplina, può mantenere i diabetici in vita e ragionevolmente in buone condizioni per assai più anni che non senza cura.
Atteggiamenti da evitare
Bisogna evitare due atteggiamenti completamente opposti. Da una parte, chi ha il diabete deve evitar d’essere incurante circa il problema, mancando di seguire sagge prescrizioni mediche e forse sperando che il problema scompaia. Non scomparirà.
D’altra parte, poiché le emozioni causano livelli irregolari di glucosio nel sangue, sarebbe controproducente preoccuparsi eccessivamente del problema. Non sarà d’aiuto nutrire continuo timore e avere la costante preoccupazione della cura del diabete con l’esclusione delle attività normali. Sebbene la vita dei diabetici debba essere necessariamente regolata, la grande maggioranza possono vivere una vita ben programmata.
Perdere un arto: Come ridurre il rischio
NELLA maggior parte dei casi si può evitare di arrivare al punto di perdere un arto! E questo vale anche per chi soffre di vasculopatie periferiche. Come accennava l’articolo precedente, in molti casi questi disturbi sono una conseguenza del diabete. Ma spesso il diabete si può tenere sotto controllo.
“Che venga prescritta o meno l’insulina, l’alimentazione è alla base della terapia per i diabetici”, dice l’Encyclopædia Britannica. Marcel Bayol, del Kings County Hospital di New York, ha detto: “Se i diabetici prendono sul serio la propria malattia, stanno attenti a cosa mangiano e si mantengono sotto controllo medico, riducono il rischio di dover perdere una gamba”. Chi soffre di diabete non insulino-dipendente e segue questi consigli può addirittura notare, con il tempo, un’attenuazione dei sintomi.
L’esercizio fisico è essenziale
Anche l’esercizio fisico è importante. Aiuta l’organismo a mantenere i livelli di glucosio nella norma. L’esercizio aiuta chi soffre di vasculopatie periferiche a mantenere forti, flessibili e adeguatamente irrorate di sangue le parti colpite. La ginnastica aiuta anche a ridurre la claudicatio intermittens (letteralmente, “zoppicamento intermittente”): un disturbo che colpisce chi soffre di vasculopatie periferiche provocandogli dolori ai muscoli del polpaccio quando cammina o fa esercizio. In questo caso, però, bisognerebbe evitare esercizi che implicano sforzi e traumi alle gambe. È meglio, ad esempio, camminare, andare in bicicletta, remare, nuotare e fare esercizi aerobici in acqua. Prima di iniziare una dieta o un particolare programma di ginnastica bisognerebbe sempre consultare un medico.
Naturalmente, chiunque ci tenga alla salute dovrebbe assolutamente evitare il fumo. Le vasculopatie periferiche non sono che uno dei moltissimi problemi di salute che il fumo crea o aggrava. “Il fumo è strettamente correlato alle amputazioni, specie se chi fuma soffre di diabete e di vasculopatie periferiche”, ha detto il dott. Bayol. Quanto è stretta questa correlazione? Un manuale per la riabilitazione di chi ha perso un arto dice che “le amputazioni sono 10 volte più frequenti tra i fumatori che tra i non fumatori”.
Cura degli arti malati
Le vasculopatie periferiche possono ridurre la circolazione negli arti inferiori, e questo a sua volta può compromettere la vitalità o la sensibilità dei nervi, nel qual caso si parla di neuropatia. A questo punto gli arti si danneggiano facilmente, anche se non si fa altro che stare a letto. Ad esempio, se una termocoperta o un termoforo si dovessero surriscaldare potrebbero causare una grave ustione, visto che la persona non è in grado di avvertire il dolore! Per questo motivo le case produttrici avvertono i diabetici di fare attenzione quando utilizzano questi apparecchi.
Gli arti malati sono anche più soggetti alle infezioni. Un semplice graffio può provocare ulcere, e persino cancrena. Perciò è essenziale aver cura dei piedi, il che include portare scarpe comode e della misura giusta e mantenere gambe e piedi sempre puliti e asciutti. Molti ospedali hanno ‘cliniche del piede’ che insegnano ai pazienti ad aver cura dei piedi.
Quando la vasculopatia è progredita al punto che è necessario intervenire chirurgicamente, i chirurghi di solito cercano di evitare l’amputazione. Una procedura alternativa è l’angioplastica con palloncino. Il chirurgo vascolare inserisce nell’arteria un catetere con in cima un palloncino. Il palloncino viene poi gonfiato, dilatando così l’arteria occlusa. Un’altra possibilità è un intervento di by-pass: la sostituzione di vasi sanguigni molto malati con altri presi da un’altra parte del corpo.
Barbara, che ora ha 54 anni, soffre di diabete insulino-dipendente da quando ne aveva quattro. Dopo aver partorito il primo figlio cominciò ad avere problemi di circolazione ai piedi. Alcuni medici le dissero che dovevano essere amputati. Barbara, però, trovò un chirurgo vascolare qualificato che con l’angioplastica riuscì a farle migliorare la circolazione nei piedi. L’angioplastica funzionò per un certo tempo, ma alla fine Barbara dovette sottoporsi a un intervento di by-pass, che ebbe esito positivo. Ora Barbara ha molta cura dei suoi piedi.
Evitare i traumi
I traumi sono al secondo posto tra le cause della perdita di un arto. E sono molto meno selettivi delle vasculopatie: possono far perdere qualsiasi parte del corpo. Ad ogni modo, avere il giusto punto di vista sulla vita può contribuire molto a ridurre il rischio di traumi. Cosa si sta facendo per ridurre i rischi per la popolazione nei paesi in cui sono disseminate molte mine? In molti paesi sono stati avviati programmi sponsorizzati dal governo per sensibilizzare la popolazione sul problema delle mine. Secondo un rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite, questi programmi insegnano alle “popolazioni a rischio . . . a ridurre il più possibile il margine di rischio anche se abitano o lavorano in zone minate”.
Purtroppo, “la gente si abitua alla presenza delle mine e diventa indifferente”, sostiene un rapporto dell’ONU. “A volte fattori religiosi incoraggiano [la gente] ad adottare un atteggiamento fatalistico nei confronti di questi pericoli”.
Pertanto essendo prudenti e adottando misure ragionevoli per proteggere la salute si può ridurre notevolmente il rischio di perdere un arto. Ma che dire di chi ha già perso un arto? Può condurre ugualmente una vita soddisfacente?
Altri fattori che possono creare o aggravare problemi vascolari agli arti inferiori sono indossare pantaloni o altri indumenti attillati, portare scarpe che non calzano bene oppure stare seduti (specie se con le gambe accavallate) o in piedi per lunghi periodi.
Chi soffre di diabete insulino-dipendente (diabete di tipo I) deve fare ogni giorno iniezioni di insulina. Chi soffre di diabete non insulino-dipendente (diabete di tipo II) spesso può tenere sotto controllo la malattia con un’alimentazione adeguata e l’esercizio fisico. Negli Stati Uniti il 95 per cento dei diabetici è affetto da quest’ultima forma di diabete.

Per chi fuma il rischio di perdere un arto è molto più alto, specie se soffre di malattie vascolari
Esercizio fisico adatto e alimentazione corretta favoriscono la salute del sistema circolatorio


La dieta per il diabete
Consigli generaliIl primo scopo della dieta nel diabetico è quello di mantenere il più possibile entro valori normali la glicemia, cioè il livello dello zucchero nel sangue. Quanto più stabile sarà l'andamento della glicemia nell'arco della giornata, tanto minori saranno le probabilità di ammalarsi delle complicanze del diabete (oculari, renali e nervose). Altrettanto importante però, secondo le più recenti linee-guida, è mantenere un corretto livello di grassi (lipidi) nel sangue per ridurre al minimo i rischi cardiovascolari che la malattia comporta.Oggi, in realtà, le raccomandazioni dietetiche generali per i due tipi di diabete (tipo I - o giovanile o insulino-dipendente - e tipo 2 o diabete dell'adulto o non-insulino dipendente) non sono molto diverse fra loro né differiscono molto dalle regole di sana e corretta alimentazione che tutta la popolazione dovrebbe seguire per prevenire alcune malattie metaboliche e cardiovascolari.Il ruolo del dietista può essere fondamentale per ottenere risultati duraturi nel diabete e, nel caso del diabete di tipo I che coinvolge spesso i giovani, può essere molto importante coinvolgere la famiglia in una serie di incontri di educazione alimentare.
Diabete di tipo IPoiché è frequente che i pazienti affetti da questo tipo di diabete siano magri o sottopeso, in genere si raccomanda una dieta "completa", che fornisca calorie sufficienti per assicurare una massa muscolare e riserve di grasso normali. In pratica, una dieta che non si discosti molto da una dieta "normale". Questo significa assumere una quantità normale di zuccheri (carboidrati) complessi, cioè quelli contenuti soprattutto nei cereali (pane, pasta, riso, legumi, patate...) i quali possono costituire fino al 60 per cento delle calorie totali se gli alimenti contenenti carboidrati sono anche ricchi di "fibra" (cereali integrali, frutta, verdura, legumi). La presenza di fibra è molto importante perché ritarda l'assorbimento degli "zuccheri" nell'intestino e quindi favorisce livelli di glicemia più equilibrati dopo il pasto.
Alimenti ricchi di fibra
Le fibre vegetali sono contenute in diversi alimenti tipici dell'alimentazione italiana. Le fibre sono utili al diabetico perché:
rendono più graduale l'assorbimento dei carboidrati, evitando picchi troppo elevati di glicemia dopo i pasti;
sono efficaci nel ridurre il colesterolo;
hanno un effetto saziante e quindi diminuiscono il senso della fame.
Le fibre più "vantaggiose" nel diabetico sono quelle idrosolubili, contenute nei legumi (fagioli, ceci, lenticchie, piselli, fave, cicerchia), nella verdura (carciofi, carote, cicoria, fagiolini, melanzane, broccoli, funghi, cavolfiori, pomodori...) e nella frutta. Questi alimenti devono essere consumati quotidianamente, anche più volte al giorno.Le fibre non idrosolubili, contenute negli alimenti vegetali e nei cibi integrali (preparati con farina non raffinata) come il pane integrale, la pasta integrale e le fette biscottate integrali, sono utili perché migliorano la funzione intestinale e ostacolano l'assorbimento del colesterolo nell'intestino. Essi però non hanno un contenuto calorico diverso rispetto ai loro corrispettivi senza fibre. Per esempio, non vi è alcuna differenza tra spaghetti normali e spaghetti integrali in termini di potere calorico o di effetto sulla glicemia.
È sempre bene preferire quegli alimenti che contengono carboidrati che si assorbono più lentamente, cioè che hanno un "indice glicemico" più basso. Per esempio, il pane contiene carboidrati che si assorbono velocemente (indice glicemico uguale a 100) mentre altri cibi hanno carboidrati che si assorbono meno velocemente e quindi sono più "vantaggiosi" per il diabetico (vedi sotto).
Indice glicemico di alcuni alimenti (in confronto al pane)
PaneBananeRiso comuneGnocchi di farinaRiso parboiledSpaghettiAranceLatteFagioliLenticchie
100 84 80 70 60 60 66 50 45 40
Contrariamente a quanto ritenuto in passato, e soprattutto nei pazienti di peso normale, possono essere consumate anche piccole quantità di zuccheri semplici (presenti ad esempio nel latte, nella frutta, nel gelato, nei dolci) che non provocano, come una volta si riteneva, grossi contraccolpi sulla glicemia nei diabetici di tipo I, i quali tra l'altro spesso assumono insulina pronta prima dei pasti. Fondamentale inoltre è il rispetto degli orari dei pasti e il consumo regolare nel corso della giornata di piccoli spuntini (vedi oltre) in modo da garantire un'alimentazione frazionata e regolata anche in base alle dosi di insulina prescritte dal medico. Si ricordi infine che un altro cardine della terapia è rappresentato da una attività fisica abituale e programmata: l'esercizio fisico regolare infatti abbassa la glicemia, aiuta a controllare i livelli di colesterolo nel sangue, impedisce di ingrassare e riduce lo stress. A questo scopo è interessante dare una occhiata alla cosiddetta piramide dell'attività fisica, utile per tutti ed anche per i diabetici.

Diabete di tipo II

Poiché il paziente con diabete di tipo II (popolarmente noto come "diabete alimentare") spesso è anche in sovrappeso, il primo obiettivo è quello di dimagrire e non quello di prendere farmaci per abbassare la glicemia. Il dimagrimento si ottiene essenzialmente adottando uno stile di vita sano, che consiste in una alimentazione corretta associata ad una attività fisica moderata ma regolare. La riduzione - anche parziale - del peso (per esempio, il 5-10 per cento del sovrappeso iniziale) permette già di migliorare - o addirittura normalizzare - i valori di glicemia e i livelli di grassi (colesterolo e trigliceridi) nel sangue.

La dieta del diabetico in sovrappeso non differisce perciò da quella di qualunque paziente in sovrappeso o obeso. Pertanto, in questi casi, è bene:
ridurre la quantità di grassi nella dieta, specialmente quelli "saturi" cioè di origine animale, come burro, formaggi, carni rosse;
preferire i carboidrati complessi, evitare gli zuccheri semplici ed aumentare il consumo di fibre;
mantenere un apporto generoso di proteine, dando la preferenza a quelle di origine vegetale (legumi, come fagioli, lenticchie, ceci, fave, cicerchia, piselli) rispetto a quelle di origine animale che sono spesso troppo ricche anche di grassi. In questo caso preferire sempre il pesce e le carni bianche.
I seguenti alimenti, invece, dovrebbero essere notevolmente limitati:
latte intero, crema, panna, formaggi grassi come mascarpone, pecorino e provolone;
frattaglie, carni grasse, pancetta, cotechino, wurstel, salame, mortadella, capocollo, patè, coppa, salsiccia;
pane all'olio, pizza " a taglio" o ripieno;
lardo, strutto, margarina, oli di semi vari;
zucchero, marmellata, caramelle o gomme da masticare, cioccolata, cornetti, torrone, torte, brioche, frutta sciroppata o frutta secca;
bibite analcoliche (aranciata, coca cola, aperitivi) e succhi di frutta con aggiunta di zuccheri.
Consigli speciali

SpuntiniÈ importante un'adeguata ripartizione dei pasti nel corso della giornata, senza mai saltare la prima colazione e con l'aggiunta di almeno due spuntini leggeri (a base di latte parzialmente scremato o yogurt, frutta o 40 grammi di pane con la verdura).
AlcoolNon esistono motivi validi per proibire l'assunzione di piccole quantità di alcool, per esempio uno-due bicchieri di vino secco (11-12 gradi) ai pasti, se il paziente non è in evidente sovrappeso. Da tenere presente inoltre che la birra ha un contenuto non indifferente di zuccheri semplici (maltosio) e quindi il suo consumo deve essere più limitato rispetto al vino e solo nel corso dei pasti. Si deve prestare particolare attenzione al consumo di alcool se il paziente diabetico ha valori elevati di trigliceridi nel sangue.
FruttaSebbene la frutta vada assunta con cautela, per il suo contenuto di zuccheri semplici, nessun tipo di frutta viene oggi bandito dalla dieta del diabetico, per cui, considerando anche il contenuto di fibra, si possono mangiare tutti i tipi di frutta, compresa la banana, considerando ad esempio che una banana di piccole dimensioni non contiene molti più zuccheri di una mela. In ogni caso, si possono usare le cosiddette "liste di scambio" che permettono di sostituire diversi cibi appartenenti allo stesso gruppo conoscendone le equivalenze in contenuto nutritivo (vedi sotto).

Lista della frutta: equivalenti a 10 grammi di zucchero
Grammi 160
Grammi 130
Grammi 100
Grammi 80
AnguriaFragoleLimonePompelmo
AlbicoccaAranciaClementinaLamponeMandarinoMelogranoMirtilliNespolaPesca
AnanasCiliegieKiwiMelaMorePerePrugne
BananaCachiFichiUva
Acidi grassi essenzialiIn una malattia come il diabete che con il passare del tempo è destinata a danneggiare la circolazione sanguigna, può essere utile aumentare nella dieta l'apporto di acidi grassi a lunga catena, anche noti come omega3, i quali sembrano apportare alcuni vantaggi sul profilo lipidico del sangue, abbassando i trigliceridi, riducendo l'aggregazione piastrinica e quindi aumentando la fluidità del sangue e, forse, abbassando la pressione arteriosa. Per questo motivo, si raccomanda di mangiare almeno due volte alla settimana il pesce.
SaleNon esistono indicazioni specifiche sul consumo di sale per i diabetici, per i quali valgono le raccomandazioni formulate per la popolazione generale secondo le quali la quantità di sale da assumere giornalmente non dovrebbe superare i 3 grammi, a meno che non sia presente ipertensione o, addirittura, una malattia renale (possibile complicanza a lungo termine del diabetico). A questo scopo si deve fare attenzione soprattutto ai cibi in scatola o in salamoia, ai dadi da brodo, ai salumi, ai formaggi, al ketchup, alla maionese, alle patatine e ai prodotti da forno in genere.
Alimenti specialiPer controllare la glicemia sono sconsigliati i cosiddetti "prodotti per diabetici" i quali, benché abbiano un contenuto ridotto di carboidrati, sono spesso - come la cioccolata o i biscotti per diabetici - più ricchi di grassi e quindi più calorici. Aspartame ed altri dolcificanti sintetici possono essere ragionevolmente consumati al posto dello zucchero, mentre è molto discutibile l'uso del fruttosio che ha un effetto sfavorevole sul livello di trigliceridi nel sangue.


Alimenti Da preferire
Grassi
Tutti i grassi devono essere limitati
Carni *
Pollo, tacchino, coniglio, vitello e manzo magro, selvaggina, prosciutto crudo magro e speck, bresaola
Prodotti caseari e uova *
Latte parzialmente scremato, yogurt magro, ricotta, albume d'uovo
Pesce
Tutti i tipi di pesce bollito o al forno, tonno al naturale
Frutta, verdura e legumi
Tutti i tipi di verdura, sia fresca che congelata, minestrone, frutta fresca salvo quella indicata accanto
Cereali
Pasta, riso parboiled, orzo
Dolci e dolcificanti
Liquirizia, aspartame, saccarina
Bevande
Té, caffè
Altri
Erbe, aromi, mostarda, pepe, aceto, limone, succo di pomodoro



Da assumere con moderazione
Olio di oliva, oli e margarine derivati da girasole, mais, soia, arachidi
Prosciutto cotto, maiale, agnello, carne in scatola
Caciotte fresche, parmigiano e mozzarella in piccole quantità, yogurt alla frutta, 1-2 uova a settimana
Pesce fritto, frutti di mare
Banane, cachi, uva, fichi
Pane e farina bianca, riso, pasta all'uovo, fette biscottate comuni, pizza napoletana, polenta, gnocchi, grissini, crackers
Sorbitolo, fruttosio, miele
Vino, birra, spremute di frutta
Salse per condimento e maionese a basso contenuto di calorie



Da assumere occasionalmente
Burro, lardo, strutto, margarine dure, oli di semi
Frattaglie, carni grassi, pancetta, cotechino, wurstel, salsicce, salami, patè, carne macinata e hamburger confezionati, pollo con pelle, capocollo, mortadella, coppa
Latte intero, crema, panna, mascarpone, pecorino, provolone stagionato, yogurt intero
Uova di pesce (caviale)
Frutta sciroppata, frutta secca
Pane all'olio, pizza farcita, piadina
Zucchero, marmellata, caramelle, creme, cioccolata, torrone, biscotti, cornetti, torte, brioche
Succhi di frutta con aggiunta di zuccheri, coca-cola, aranciata
Maionese, condimenti a base di creme o formaggi