Il primo impatto con il mondo
I BAMBINI alla nascita si ritrovano di colpo in un mondo freddo e inospitale, un mondo pieno di stress. Essendo tanto piccoli non sono in grado di esprimere a parole come si sentono, ma alcuni scienziati ritengono che già prima della nascita il feto sia consapevole di quello che accade.
Il libro Vita segreta prima della nascita dice: “Sappiamo ora che il nascituro è un essere umano consapevole e capace di reagire, che dal sesto mese in poi (e forse anche prima) ha una vita emotivamente attiva”. Anche se il bambino non ricorderà l’esperienza traumatica del parto, alcuni scienziati si chiedono se questa non influisca sulla sua vita da adulto.
Dopo la nascita lo stress continua. Fuori del grembo materno il neonato non riceve più il nutrimento automaticamente. Il cordone ombelicale, che trasportava l’ossigeno e le sostanze nutritizie, non c’è più. Per sopravvivere il bambino deve cominciare a respirare e ad assumere le sostanze nutritizie per proprio conto. Ha bisogno di qualcuno che lo nutra e che soddisfi gli altri suoi bisogni fisici.
Il neonato deve anche svilupparsi mentalmente, emotivamente e spiritualmente. Così qualcuno deve prendersi cura di lui. Chi è nella migliore posizione per farlo? Cosa ha bisogno di ricevere il piccolo dai genitori? In che modo questi bisogni possono essere soddisfatti al meglio?
Desideri e bisogni dei bambini
DAL momento della nascita il neonato ha bisogno di tenere cure, che includono carezze e contatto epidermico. Alcuni medici ritengono che le prime 12 ore dopo la nascita siano determinanti. Dicono che subito dopo il parto ciò di cui la madre e il bambino hanno maggiormente bisogno e desiderio non è “né il sonno né il cibo, ma di toccarsi e coccolarsi, di guardarsi e ascoltarsi”. — T. R. Verny e J. Kelly, op. cit., p. 94.
I genitori sollevano, abbracciano, accarezzano e coccolano il loro bambino istintivamente. Il piccolo a sua volta si affeziona ai genitori e risponde alle loro attenzioni. Questo legame è così forte che i genitori faranno di continuo sacrifici per prendersi cura del loro piccino.
D’altra parte, se manca questo legame d’amore il neonato potrebbe letteralmente deperire e morire. Perciò alcuni medici ritengono che sia importante che il bambino venga dato alla madre immediatamente dopo il parto. Secondo loro la madre e il bambino dovrebbero stare vicini per almeno 30-60 minuti.
Nonostante l’importanza che alcuni danno al legame tra madre e neonato, in certi ospedali il contatto precoce può essere difficile, se non impossibile. Spesso i neonati vengono separati dalla madre per proteggerli dal pericolo d’infezione. Alcuni studi, comunque, indicano che la percentuale di infezioni mortali potrebbe addirittura diminuire quando i neonati stanno con la madre. Così, sempre più ospedali sono favorevoli a permettere un contatto precoce più lungo fra i due.
Preoccupazioni riguardo al legame tra madre e bambino
Anche quando l’amore materno non è immediato, può svilupparsi appieno in seguito. Una madre esperta osserva: “Niente di ciò che accade alla nascita è tanto determinante da condizionare di per sé, in bene o in male, la vostra relazione con il bambino”. Tuttavia, se aspettate un bambino e avete dei timori, potrebbe essere saggio parlarne in anticipo con l’ostetrico. Esprimete chiaramente i vostri desideri, spiegando quando e per quanto tempo volete interagire con il neonato.
“Parlami!”
Sembra che ci siano determinati periodi di tempo in cui i bambini sono particolarmente sensibili a stimoli specifici. Dopo un po’ questi periodi finiscono. Per esempio, i bambini imparano con facilità una lingua, e anche più di una. Ma sembra che il periodo in cui la mente è più ricettiva per imparare le lingue volga al termine intorno ai cinque anni.
Dopo che il bambino ha raggiunto i 12-14 anni, imparare una lingua può essere un’impresa. Secondo Peter Huttenlocher, esperto di neurologia pediatrica, a quell’età “la densità e il numero delle sinapsi nelle aree del cervello preposte al linguaggio diminuiscono”. È chiaro che i primi anni di vita sono fondamentali per acquisire la capacità di parlare una lingua.
Come fanno i bambini a riuscire nell’impresa di imparare a parlare, che è così importante per il resto dello sviluppo cognitivo? Principalmente grazie alle interazioni verbali con i genitori. I bambini rispondono in particolare agli stimoli che provengono da altri esseri umani. “Il neonato . . . imita la voce della madre”, osserva Barry Arons, del Massachusetts Institute of Technology. È interessante, però, che i neonati non imitano tutti i suoni. Come osserva Arons, il neonato “non riproduce i cigolii della culla che sente contemporaneamente alla voce della madre”.
Genitori di culture diverse comunicano con i loro bambini piccoli usando tutti lo stesso modo di parlare ritmico che alcuni definiscono “genitorese”. Quando la madre o il padre parlano in modo affettuoso, il battito cardiaco del neonato accelera. Si ritiene che questo aiuti il bambino a mettere in relazione le parole con gli oggetti ad esse associati. Senza proferire parola il neonato dice: “Parlami!”
“Guardami!”
È stato dimostrato che all’incirca nel primo anno di vita il bambino sviluppa un attaccamento emotivo con l’adulto che si prende cura di lui, di solito la madre. Se il bambino si sente sicuro di questo legame, ha meno difficoltà nei rapporti con gli altri rispetto ai bambini che non hanno uno stretto legame col genitore. Si ritiene che questo legame con la madre si debba instaurare prima dei tre anni.
Cosa può succedere nel caso che il neonato venga trascurato durante questo periodo cruciale in cui la sua mente è altamente ricettiva alle influenze esterne? Martha Farrell Erickson, che ha seguito 267 madri e i loro figli per oltre 20 anni, esprime questa opinione: “Il bambino che è trascurato viene lentamente ma inesorabilmente fiaccato nello spirito finché non sente più il desiderio di stabilire una relazione con altri o di esplorare il mondo”.
Per spiegare cosa pensa delle serie conseguenze che derivano dal trascurare i bisogni emotivi del neonato, il dottor Bruce Perry dell’Ospedale Infantile del Texas afferma: “Se mi chiedeste di prendere un bambino di 6 mesi e di scegliere fra rompergli tutte le ossa o ignorarlo a livello emotivo per due mesi, direi che per il bambino sarebbe meglio che gli si rompessero tutte le ossa”. Perché? Secondo Perry “le ossa possono ricomporsi, ma se il cervello del bambino non viene stimolato per due mesi in un periodo così critico, rimarrà per sempre disorganizzato”. Non tutti ritengono che questo danno sia irrimediabile. Comunque, studi scientifici indicano che un ambiente che soddisfi i bisogni emotivi è essenziale per la mente del bambino.
“In breve”, dice un libro sull’argomento, i neonati “sono pronti ad amare e ad essere amati”. (Infants) Quando un bambino piange, spesso sta implorando i suoi genitori di guardarlo. È importante che i genitori reagiscano in modo affettuoso. Grazie a queste interazioni il neonato si rende conto che è in grado di far conoscere i suoi bisogni agli altri. Sta imparando a stringere relazioni sociali.
‘Non è che vizierò il bambino?’
“Infatti”, dice la Erickson, “i bambini che hanno ricevuto attenzione in modo sollecito e coerente, specialmente durante i primi 6-8 mesi di vita, piangono meno dei bambini che sono stati ignorati quando piangevano”. È anche importante variare il modo in cui si risponde al pianto del bambino. Se si reagisce sempre nello stesso modo, ad esempio dandogli da mangiare o prendendolo in braccio, il bambino può davvero diventare viziato. A volte può bastare rispondere al suo pianto dicendo qualcosa. Oppure può essere efficace andargli vicino e parlargli dolcemente all’orecchio. Potrebbe anche essere sufficiente toccargli la schiena o il pancino con la mano.
“Piangere è il mestiere del bambino”, si dice in Oriente. Per il bambino piangere è il modo principale per comunicare cosa vuole. Come vi sentireste se foste ignorati ogni volta che chiedete qualcosa? Come dovrebbe quindi sentirsi il vostro bambino, così indifeso se non c’è qualcuno che si prende cura di lui, se lo trascuraste ogni volta che desidera attenzione? Ma chi dovrebbe prendersi cura di lui quando piange?
“Bambini silenziosi”
Alcuni medici in Giappone dicono che sono in aumento i casi di bambini che non piangono e non ridono. Il pediatra Satoshi Yanagisawa li definisce “bambini silenziosi”. Perché i bambini smettono di esprimere le loro emozioni? Alcuni medici ritengono che il problema si verifichi perché vengono privati del contatto con i genitori. La chiamano apatia forzata. Secondo una teoria, se il bisogno di comunicare viene costantemente ignorato o frainteso alla fine i bambini si chiudono in se stessi.
Se al bambino non viene dato lo stimolo appropriato al momento giusto, la parte del suo cervello che lo mette in condizione di capire gli altri potrebbe non svilupparsi, afferma Bruce Perry, primario di psichiatria all’Ospedale Infantile del Texas. Se i bisogni emotivi dei bambini vengono trascurati in maniera estrema, la loro capacità di provare empatia può andare irrimediabilmente perduta. Perry ritiene che in alcuni casi l’uso di stupefacenti, l’abuso di alcool o la violenza degli adolescenti possono ricollegarsi a queste prime esperienze di vita.
Il legame fra genitore e bambino diventa più forte man mano che i due comunicano
Chi si deve occupare del bambino?
Secondo un censimento fatto di recente negli Stati Uniti, dalla nascita fino alla terza elementare il 54 per cento dei bambini vengono regolarmente accuditi da persone che non sono i genitori. Forse molte famiglie hanno bisogno di due entrate per arrivare alla fine del mese. E molte madri si mettono in maternità per alcune settimane o alcuni mesi, se è possibile, per prendersi cura del loro bambino. Ma chi si occuperà del bambino in seguito?
Naturalmente non ci sono regole categoriche per prendere tali decisioni. Comunque, è bene ricordare che il bambino è ancora vulnerabile durante questo importante periodo della sua vita. I genitori faranno bene a considerare seriamente la cosa insieme. Per decidere cosa fare devono valutare attentamente le varie possibilità.
“Sta diventando sempre più chiaro che lasciare che a crescere i nostri figli siano strutture per l’infanzia, anche le migliori che ci siano, non sostituisce il tempo di cui i bambini necessitano da parte del padre e della madre”, afferma Joseph Zanga, dell’Accademia Americana di Pediatria. Alcuni esperti hanno espresso la preoccupazione che i bambini affidati agli asili e agli asili nido non abbiano la possibilità di interagire con chi si prende cura di loro nella misura in cui ne hanno bisogno.
Alcune madri che lavoravano, consapevoli dei bisogni fondamentali del loro bambino, hanno preferito rimanere a casa piuttosto che lasciare che fossero altri a prendersi cura dei loro figli a livello emotivo. Una donna ha detto: “Sono stata ricompensata con una soddisfazione che onestamente ritengo che nessun altro lavoro avrebbe potuto darmi”. Naturalmente le pressioni economiche non permettono a tutte le madri di fare questo tipo di scelta. Molti genitori non hanno altra alternativa che servirsi di strutture per l’infanzia, così fanno uno sforzo extra per dare al bambino attenzione e affetto quando sono insieme. Allo stesso modo molti genitori soli che lavorano, pur avendo poche possibilità di scelta a questo riguardo, fanno sforzi eccezionali per crescere i loro figli e hanno ottimi risultati.
Essere genitori può essere un compito gioioso ed entusiasmante. Ma è anche difficile e impegnativo. Come ci si può riuscire?
Provvedere ai bambini ciò di cui hanno bisogno
Cosa è andato storto? Il problema potrebbe essere attribuito, almeno in parte, al fatto che si è sottovalutata l’importanza di dare attenzione ai più piccoli? “Tutti noi abbiamo bisogno di imparare come diventare genitori”, spiega una psicologa che aiuta le neomamme con un basso reddito a imparare come prendersi cura del loro bambino. “E dobbiamo capire che saremo abbondantemente ripagati del tempo che passiamo ora con i nostri bambini”.
Anche i più piccoli hanno bisogno di istruzione regolare. Non bastano pochi minuti qua e là: occorre regolarità nel corso della giornata. Il tempo passato con i figli dall’infanzia in poi è essenziale perché crescano bene.
Bisogna prepararsi
Per adempiere la loro seria responsabilità, i genitori devono prepararsi per l’arrivo del loro bambino. Può essere loro utile un principio che Gesù Cristo indicò parlando dell’importanza di programmarsi in anticipo. Egli disse: “Chi di voi volendo costruire una torre non si mette prima a sedere e non calcola la spesa?” Crescere i figli viene spesso definito un’impresa ventennale, ed è molto più complicato che costruire una torre. Così per crescere un bambino occorre, per così dire, un progetto.
Innanzi tutto è importante prepararsi mentalmente e spiritualmente per assumersi le responsabilità che accompagnano l’essere genitori. Stando a uno studio fatto su 2.000 donne incinte in Germania, i bambini delle madri che non vedevano l’ora di avere una famiglia erano più sani, a livello emotivo e fisico, di quelli delle madri che non desideravano avere figli. D’altra parte, un ricercatore ha calcolato che la donna intrappolata in un matrimonio burrascoso corre un rischio del 237 per cento più grande di avere un bambino con problemi a livello emotivo o fisico rispetto alla donna che ha un matrimonio sicuro.
È chiaro, quindi, che il padre ha un ruolo importante perché il bambino cresca bene. Il dottor Thomas Verny ha osservato: “Poche cose sono più pericolose, per il benessere fisico e psichico del bambino, di un padre che trascuri o maltratti la propria moglie” durante la gravidanza. (Op. cit., p. 27) In effetti si dice spesso che il regalo più bello che un bambino possa ricevere è sentire che la mamma è amata dal papà.
Gli ormoni legati all’ansia e allo stress presenti nel circolo sanguigno della madre possono influire sul feto. Comunque si ritiene che solo l’ansia intensa e prolungata sia pericolosa per il feto e non emozioni negative sporadiche o singoli avvenimenti stressanti. Sembra che la cosa più importante sia quello che prova la donna per il bambino che ha in grembo.
Che dire se aspettate un bambino ma vostro marito non vi sostiene, o se non vi piace l’idea di diventare madre? Non è insolito che le circostanze portino una donna a sentirsi depressa a motivo della gravidanza. Ricordate sempre, comunque, che il vostro bambino non ha nessuna colpa. Come potete, quindi, mantenere un atteggiamento sereno nonostante le circostanze avverse?
I saggi consigli contenuti nella Bibbia, hanno aiutato milioni di persone. In essa si legge: “In ogni cosa le vostre richieste siano rese note a Dio con preghiera e supplicazione insieme a rendimento di grazie; e la pace di Dio che sorpassa ogni pensiero custodirà i vostri cuori e le vostre facoltà mentali mediante Cristo Gesù”. Vi sorprenderà scoprire fino a che punto, applicando questo suggerimento nella vostra vita, sarete aiutati a seguire il consiglio: “Non siate ansiosi di nulla”. Sentirete l’amorevole mano del Creatore, che è in grado di prendersi cura di voi.
Non è un’esperienza insolita
Nelle prime settimane dopo il parto alcune giovani madri provano una tristezza inspiegabile e si sentono apatiche. Anche donne che erano contente di avere un bambino possono diventare tristi. Tali cambiamenti di umore non sono insoliti, poiché dopo il parto i livelli ormonali possono avere enormi sbalzi. È anche normale per una madre alle prime armi sentirsi sopraffatta da tutto ciò che la maternità comporta: allattare, cambiare i pannolini e prendersi cura di un bambino che non ha orari.
Una madre era arrivata a pensare che il suo bambino piangesse soltanto per tormentarla. Non sorprende che un esperto giapponese di pedagogia abbia detto: “Nessuno può evitare lo stress che deriva dal crescere un figlio”. Secondo questo specialista, “per la madre la cosa più importante è non isolarsi mai”.
Anche se a volte dovesse sentirsi depressa, la madre può fare in modo che il bambino non risenta dei suoi sbalzi d’umore. La rivista Time spiegava: ‘Tra le madri che soffrivano di depressione, quelle che riuscivano a vincere la malinconia, colmando i loro bambini di attenzioni e impegnandosi in giochi divertenti, avevano figli di indole molto più allegra’.
Cosa può fare il padre
Il padre è spesso nella posizione migliore per dare l’aiuto e il sostegno necessari. Quando il bambino piange nel cuore della notte, in molti casi il padre può pensare ad accudire il bambino così da permettere alla moglie di dormire.
Gesù Cristo ha dato ai mariti l’esempio perfetto. Diede persino la vita per i suoi seguaci. Perciò i mariti che sacrificano le proprie comodità e prendono iniziative per badare ai bambini stanno imitando Cristo. In effetti crescere un bambino è un’impresa a due, uno sforzo congiunto che deve coinvolgere entrambi i genitori.
Uno sforzo congiunto
“Io e mia moglie abbiamo concordato nei particolari come crescere nostra figlia”, dice Yoichiro, che ha una bambina di due anni. “Ogni volta che si presenta un problema, ragioniamo insieme per vedere come affrontarlo”. Yoichiro si rende conto che sua moglie ha bisogno di riposarsi e spesso porta la figlia con sé quando esce per sbrigare qualche faccenda.
In passato, quando le famiglie di solito erano numerose e unite, i genitori potevano contare sull’aiuto dei figli più grandi e dei familiari per badare ai bambini. Così non sorprende che una donna che lavora presso un consultorio pediatrico di Kawasaki, in Giappone, abbia detto: “Nella maggioranza dei casi le madri si sentiranno sollevate quando parleranno con altri dei problemi che incontrano nel crescere i figli. A molte madri è bastato ricevere un piccolissimo aiuto per riuscire a farcela nonostante gli ostacoli”.
La rivista Parents dice che i genitori “hanno bisogno di avere diverse persone a cui poter telefonare per parlare delle loro preoccupazioni”. Dove si possono trovare? Coloro che hanno avuto da poco un bambino possono trarre grande vantaggio dall’essere di mente aperta e dall’ascoltare i loro genitori e i parenti acquisiti. Ovviamente i nonni dovrebbero riconoscere che la decisione finale spetta alla giovane coppia.
I genitori, ovviamente, devono essere selettivi quando ascoltano le opinioni altrui. “All’improvviso tutte le persone intorno a noi divennero esperte nell’educare i figli”, dice Yoichiro. La moglie, Takako, ammette: “Inizialmente quando gli altri mi davano consigli mi irritavo, poiché avevo l’impressione che criticassero la mia mancanza di esperienza come madre”. Eppure, attingendo dall’esperienza altrui molti mariti e molte mogli sono stati aiutati ad avere un concetto equilibrato riguardo al provvedere ai figli ciò di cui hanno bisogno.
Il miglior aiuto che ci sia
Colui che ne sa di più di tutti naturalmente è Dio. . Per esempio, circa 3.500 anni fa Mosè, profeta di Dio, scrisse: “Devi amare Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza vitale”. Quindi aggiunse: “Queste parole che oggi ti comando devono essere nel tuo cuore; e le devi inculcare a tuo figlio e parlarne quando siedi nella tua casa e quando cammini per la strada e quando giaci e quando ti levi”Qual è, secondo voi, il senso di questo consiglio della Parola di Dio? Non è forse che bisogna istruire i figli in maniera regolare, giorno dopo giorno? In realtà non è sufficiente programmarsi per dedicare ai figli di tanto in tanto il cosiddetto “tempo di qualità”. Poiché i momenti importanti di comunicazione spesso sono spontanei e imprevedibili, è necessario che siate presenti nella vita dei vostri figli. In questo modo riuscirete a seguire il comando: “Addestra il ragazzo secondo la via per lui”.
‘Addestrare’ bene i bambini piccoli significa anche leggere loro ad alta voce. Timoteo, discepolo del I secolo, ‘aveva conosciuto gli scritti sacri dall’infanzia’. È chiaro che quando era ancora molto piccolo la madre Eunice e la nonna Loide gli leggevano ad alta voce. È bene che cominciate a far questo non appena iniziate a parlare al vostro bambino.
Che dire se una madre prova profonda tristezza e un senso di disperazione e inoltre si sente distaccata dal suo bambino e dal mondo? Potrebbe soffrire di depressione postpartum.
Ho vinto la battaglia contro la depressione postpartum
Ricordo che osservavo mio marito giocare felice con la nostra bambina appena nata e pensavo che sarebbero stati più felici senza di me. Sentivo di essere diventata un peso per loro. Volevo prendere la macchina, andarmene e non tornare più. Non mi rendevo conto di soffrire di depressione postpartum.
Avevo paura di stare con gli altri, anche con vecchi amici. Se qualcuno veniva alla porta inaspettatamente, mi nascondevo in camera da letto. Lasciavo la casa tutta in disordine, e mi distraevo e mi confondevo con facilità. Mi piace molto leggere, ma mi diventò quasi impossibile perché non riuscivo a concentrarmi. Trovavo difficile pregare, perciò la mia salute spirituale ne soffrì. Mi sentivo emotivamente insensibile, incapace di provare amore per chicchessia. Avevo paura di fare del male alle bambine perché non pensavo in modo corretto. La mia autostima crollò. Pensavo di impazzire.
La via della guarigione
Senza l’amorevole sostegno di mio marito, la guarigione sarebbe stata senza dubbio molto più lenta. Jason ascoltava con pazienza quando mi sfogavo confidandogli i miei timori. Riscontrai che per me era molto importante non reprimere ciò che provavo. A volte sembravo persino arrabbiata. Ma Jason mi assicurava sempre che mi amava e che non ero da sola ad affrontare quella situazione. Cercava sempre di aiutarmi a vedere il lato positivo delle cose. In seguito mi scusavo per quello che avevo detto in un momento di rabbia. Mi rassicurava dicendo che era la mia malattia a parlare. Quando ci ripenso adesso, mi rendo conto quanto fossero importanti per me le sue espressioni premurose.
Insieme trovammo finalmente un dottore molto disponibile che si prese il tempo di ascoltare come mi sentivo. Diagnosticò che soffrivo di depressione postpartum e mi consigliò una terapia farmacologica per controllare i frequenti attacchi di ansia. Mi incoraggiò anche a consultare uno specialista di igiene mentale. Inoltre mi raccomandò di fare regolarmente dell’esercizio fisico, cosa che ha aiutato molti a combattere la depressione.
Uno dei maggiori ostacoli che ho trovato sulla via della guarigione è stato affrontare la vergogna che accompagna la depressione postpartum. La gente spesso trova difficile mostrare empatia a chi ha una malattia che non capisce. La depressione postpartum non è, diciamo, come una gamba rotta, che gli altri possono vedere e di cui possono quindi tener conto. Comunque la mia famiglia e gli amici intimi sono stati davvero incoraggianti e comprensivi.
L’amorevole aiuto di familiari e amici
Durante quel periodo difficile io e Jason abbiamo apprezzato molto l’aiuto di mia madre. A volte lui aveva bisogno di un po’ di respiro dall’agitazione che c’era in casa. La mamma era sempre positiva e non cercava di sobbarcarsi tutto il mio lavoro, anzi, mi sosteneva e mi incoraggiava a fare quel che potevo.
Anche gli amici si sono dimostrati un magnifico sostegno. Molti mandavano bigliettini per dirci che mi pensavano. Come mi erano care quelle parole gentili! Specialmente perché trovavo difficile parlare con la gente, sia al telefono che a quattr’occhi. Così, scrivendoci, gli amici non solo dimostravano di capire le limitazioni causate dalla depressione, ma confermavano anche il loro amore e il loro interesse per me e per la mia famiglia.
Non è una condanna a vita
Ora sto molto meglio, grazie ai consigli del mio medico, al sostegno della famiglia e alla comprensione degli amici. Faccio ancora regolarmente esercizio fisico, anche quando mi sento stanca, poiché mi ha aiutato a guarire. Cerco inoltre di reagire in modo positivo all’incoraggiamento di altri. Nei momenti difficili ascolto musica edificante e leggo libri auto motivanti. Cerco cose che mi aiutano ad essere positiva. Mi ci sono voluti più di due anni e mezzo per arrivare a provare più pienamente e manifestare amore per mio marito, le bambine e altri. Per quanto questo sia stato un periodo difficile per la mia famiglia, ci sentiamo più uniti che mai. Sono particolarmente riconoscente a Jason, che mi ha confermato il suo amore in maniera straordinaria sopportando i momenti peggiori della mia depressione ed essendo sempre pronto a sostenermi quando ne avevo bisogno.
Ci sono ancora dei giorni in cui mi sento giù, ma con l’aiuto della mia famiglia, del mio medico, degli amici, la luce alla fine del tunnel diventa sempre più luminosa. La depressione postpartum non è una condanna a vita. È un nemico che si può sconfiggere.
Fattori che potrebbero causare la depressione postpartum
Oltre agli sbalzi ormonali, altre cose potrebbero causare la depressione postpartum. Alcune sono:
1. Le idee che una donna si fa della maternità, che potrebbero essere la conseguenza di un’infanzia infelice e di un rapporto difficile con i genitori.
2. Aspettative poco realistiche imposte alle madri dalla società.
3. Casi di depressione in famiglia.
4. Insoddisfazione coniugale e mancanza del sostegno di parenti stretti o lontani.
5. Scarsa autostima.
6. Sentirsi oberata od oppressa dovendo occuparsi del neonato a tempo pieno.
Questo elenco non è certo completo. La depressione postpartum potrebbe dipendere anche da altri fattori. In effetti non se ne conoscono ancora completamente le cause.
Più che semplice “baby blue”
La depressione postpartum non va confusa con i comuni cambiamenti di umore che seguono al parto. La dottoressa Laura J. Miller dice: “Il tipo più comune di alterazione dell’umore che avviene dopo il parto è quella divenuta nota come ‘baby blue’. . . . Circa il 50% delle puerpere passa questo triste periodo di fragilità emotiva. Di solito raggiunge l’apice tra il terzo e il quinto giorno dopo il parto e poi scompare gradatamente da sé entro qualche settimana”. Secondo i ricercatori questa malinconia può essere dovuta a sbalzi dei livelli ormonali che seguono al parto.
A differenza del “baby blue”, la depressione postpartum comporta prolungati stati di depressione che potrebbero iniziare alla nascita del bambino o anche settimane o mesi dopo. La nuova mamma che ne soffre un momento potrebbe essere su di morale e subito dopo sentirsi depressa, pensare perfino al suicidio. Inoltre potrebbe essere irritabile, permalosa e arrabbiata. Potrebbe provare un persistente senso di inadeguatezza come madre e mancanza di amore per il suo bambino. La Miller afferma: “Alcune madri clinicamente depresse sanno a livello mentale di amare il proprio bambino, eppure non provano altro che apatia, irritazione o disgusto. Altre provano il desiderio di fare del male al loro bambino o persino di ucciderlo”.
La depressione postpartum è un fenomeno che ha una storia lunga. Già nel IV secolo a.E.V. il medico greco Ippocrate osservò le drammatiche alterazioni psicologiche di cui soffrivano alcune donne dopo il parto. Uno studio pubblicato in una rivista medica spiegava: “La depressione postpartum è un problema vero e proprio che in molti paesi riguarda il 10-15% delle madri”. Purtroppo, però, “nella maggioranza dei casi questa depressione non viene diagnosticata in maniera corretta e non viene curata dovutamente”, dice la rivista. — Brazilian Journal of Medical and Biological Research.
Un disturbo meno comune ma più grave che si presenta dopo il parto è la psicosi postpartum. Chi ne soffre potrebbe avere allucinazioni, sentire voci e perdere ogni contatto con la realtà, anche se forse è in sé per periodi intermittenti della durata di ore o di giorni. Le cause di questa psicosi rimangono poco chiare, ma la Miller osserva che “la vulnerabilità genetica, forse scatenata da alterazioni ormonali, sembra essere il fattore determinante”. Un bravo medico può prescrivere una cura efficace per la psicosi postpartum.
Aiutarsi da sé
1. Se la depressione persiste, rivolgiti a un medico. Prima lo fai, prima potrà iniziare il processo di guarigione. Cerca un medico comprensivo che conosca bene la malattia. Sforzati di non vergognarti della tua depressione e di non sentirti in imbarazzo se devi assumere farmaci.
2. Fa regolarmente esercizio fisico. Le ricerche hanno dimostrato che l’esercizio fisico regolare può essere un rimedio efficace contro la depressione.
3. Spiega a chi ti è più vicino come ti senti. Non isolarti e non reprimere ciò che provi.
4. Ricordati che non devi avere una casa perfetta. Cerca di semplificarti la vita concentrandoti sulle cose essenziali.
5. Prega per avere coraggio e pazienza. Se trovi difficile pregare, chiedi a qualcuno di pregare con te. Continuando a provare sensi di colpa o a sentirti indegna potresti solo ritardare la guarigione.
Suggerimenti utili per gli uomini
1. Riconosci che tua moglie non ha colpa se soffre di depressione postpartum. Se la depressione persiste, aiutala a trovare un medico che capisca il problema e sia comprensivo.
2. Ascolta con pazienza tua moglie. Cerca di capire i suoi sentimenti. Non irritarti se è pessimista. Aiutala gentilmente a vedere il lato positivo delle cose e assicurale che migliorerà. Non presumere di dover risolvere tutti i problemi che menziona. Forse desidera solo essere confortata, non ricevere risposte logiche. (1 Tessalonicesi 5:14) Ricorda che la depressione postpartum rende difficile a chi ne soffre pensare in modo logico e chiaro.
3. Riduci le attività non essenziali per avere più tempo per aiutare tua moglie. Questo potrebbe accelerare la sua guarigione.
4. Assicurati di avere un po’ di tempo per te. Una buona salute fisica, mentale e spirituale ti permetterà di essere di maggiore aiuto a tua moglie.
5. Cerca di parlare con qualcuno che ti incoraggerà, magari un altro uomo spiritualmente maturo la cui moglie ha sofferto di depressione postpartum.
Che cos’è la depressione postpartum
Cosa mi succede? Ho appena avuto un bel bambino sano. Dovrei esserne felice e orgogliosa, invece mi sento così giù e inquieta, persino arrabbiata. Sono una cattiva madre? Perché sono così depressa?
SE HAI appena avuto un bambino, forse provi sentimenti del genere. In questo caso, non sei la sola. Si calcola che dal 70 all’80 per cento delle nuove mamme provino a volte simili sentimenti. Ma che cos’è la depressione postpartum, e cosa la provoca? Come si può superarla? Che aiuto possono dare i familiari e altri?
Disturbi
Il termine “depressione postpartum” si riferisce a episodi depressivi successivi al parto. Questi si possono verificare dopo la nascita di un bambino, non necessariamente il primo, o anche dopo un aborto spontaneo o l’interruzione di una gravidanza. Secondo l’ufficio che si occupa della salute della donna del Dipartimento americano della Sanità e dei Servizi Sociali, la gravità dei sintomi può variare enormemente.
Dopo il parto molte donne attraversano il cosiddetto “baby blue”, periodo caratterizzato da malinconia, ansia, irritabilità, cambiamenti di umore e stanchezza. Queste alterazioni sono considerate normali, sono di breve durata e si risolvono da sé in una decina di giorni senza intervento medico.
Tuttavia l’Ordine Americano degli Ostetrici e dei Ginecologi calcola che in 1 puerpera su 10 queste sensazioni si aggravano e perdurano dopo i primi giorni. Possono perfino presentarsi diversi mesi dopo il parto. Potrebbe trattarsi di vera e propria depressione postpartum, in cui i sentimenti di tristezza, ansia o disperazione sono così intensi che la nuova mamma non riesce a far fronte alle incombenze quotidiane.
Inoltre da 1 a 3 nuove mamme su 1.000 soffrono di una forma di depressione ancora più grave detta psicosi postpartum, soffrono cioè di allucinazioni che spesso portano a nuocere a sé o al bambino. Quest’ultima patologia richiede immediate cure mediche.
Cause
Non esiste una singola causa ben definita della depressione postpartum. Sembra che vi siano implicati fattori sia fisici che emotivi. Un fattore fisico potrebbe essere che nelle prime 24-48 ore dopo il parto i livelli di estrogeno e progesterone calano sensibilmente, risultando più bassi di prima del concepimento e creando un brusco cambiamento delle funzioni fisiologiche dell’organismo. Ciò può causare depressione, più o meno come prima dei cicli mestruali si verificano tensione e cambiamenti di umore. Dopo il parto potrebbe calare anche il livello degli ormoni prodotti dalla tiroide, provocando sintomi simili a quelli della depressione. Per questi motivi i ricercatori tendono a definire la depressione postpartum un “disturbo ormonale e biochimico”.
È interessante che un bollettino medico avanza l’ipotesi che la depressione postpartum possa essere causata da uno squilibrio nutrizionale, forse da una carenza di vitamine del complesso B.
La stanchezza e la mancanza di sonno hanno pure un ruolo importante. Il dott. Steven I. Altchuler, psichiatra presso la Mayo Clinic del Minnesota (USA), dice: “Nel periodo immediatamente successivo al parto, la mancanza di forze e l’impossibilità di dormire possono far sembrare molto più grossi dei problemi insignificanti. Alcune donne potrebbero sentirsi frustrate constatando di non riuscire a fare le cose che prima del parto facevano senza difficoltà, senza ‘baby blue’ e dormendo tutta la notte”. Fattori emotivi come una gravidanza non prevista, un parto prematuro, la perdita della libertà, la preoccupazione per il proprio aspetto fisico e la mancanza di un sostegno possono pure accrescere la depressione.
Inoltre diversi luoghi comuni sull’essere mamma possono contribuire a far sentire depressa una donna e a indurla a pensare di essere un fallimento. Questi includono l’idea che i doveri della maternità siano istintivi, che il legame affettivo dovrebbe essere immediato, che il neonato sarà perfetto e mai nervoso e che la nuova mamma dovrebbe essere perfetta. In realtà le cose non stanno così. I doveri della maternità si devono imparare, il legame affettivo spesso richiede tempo, alcuni bambini sono più facili da accudire di altri e nessuna madre è perfetta o è una “supermamma”.
Sempre più riconosciuta
Fino a poco tempo fa, la depressione postpartum spesso non veniva presa sul serio. Il dott. Laurence Kruckman, fa notare: “In passato i problemi di salute mentale delle donne sono stati sottovalutati e definiti isterici e non preoccupanti. Il manuale diagnostico dell’Associazione Americana di Psichiatria non ha mai riconosciuto pienamente la presenza di una malattia postpartum, e di conseguenza i medici sono disinformati e non sono disponibili dati affidabili. . . . E a differenza di 30 anni fa, le madri spesso tornano a casa dall’ospedale nel giro di 24 ore. La maggior parte delle psicosi postpartum, dei ‘baby blue’ e di certa depressione si verificano da 3 a 14 giorni dopo il parto. Quindi le madri sono già a casa e non sotto la sorveglianza di professionisti a conoscenza dei sintomi”.
Tuttavia secondo la dottoressa Carol E. Watkins della Northern County Psychiatric Associates, un ente di Baltimora, nel Maryland (USA), se non viene diagnosticata o curata, la depressione postpartum può provocare una depressione a lungo termine e difficoltà a stabilire un legame affettivo con il neonato. Le madri depresse potrebbero ignorare passivamente i bisogni del bambino oppure non controllarsi e ricorrere alle maniere forti per disciplinare il neonato. Questo può influire negativamente sullo sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino.
Per esempio un articolo pubblicato da una rivista medica avanza l’ipotesi che i bambini di madri depresse riescano meno bene nei test cognitivi di quelli le cui madri non erano depresse. (American Family Physician) Inoltre la depressione postpartum può influire negativamente sugli altri figli e sul marito.
Terapia
Cosa si può fare? Soltanto tener duro? È confortante sapere che la depressione postpartum è temporanea e si può curare. Secondo il già citato ufficio che si occupa della salute della donna, il riposo e il sostegno della famiglia potrebbero essere sufficienti per i sintomi lievi, ma se la depressione vi impedisce di svolgere le vostre attività dovete rivolgervi al medico.
Alcune terapie comuni sono la somministrazione di antidepressivi, incontri con uno specialista di igiene mentale, cure ormonali o un insieme di tutto questo, secondo la gravità del caso. Anche la “terapia del canguro”, cioè il contatto diretto con il neonato, può alleviare la depressione postpartum. Ci sono anche terapie alternative come quelle a base di erbe, l’agopuntura e i rimedi omeopatici.
Comunque ci sono cose che potete fare personalmente, fra cui mangiare cibi nutrienti (includendo frutta, verdura e cereali integrali), evitare caffeina, alcolici e zucchero, fare esercizio fisico con moderazione e fare un pisolino mentre il bambino dorme. Zoraya, una madre cristiana che ha pianto per giorni e giorni dopo la nascita di una bambina sana, dice che è riuscita a superare la depressione impegnandosi appena possibile nelle normali attività di ministero dei testimoni di Geova. — Per ulteriori suggerimenti vedi l’accluso riquadro.
Che aiuto possono dare gli altri?
Dato che uno dei fattori principali della depressione postpartum è la mancanza del dovuto riposo, gli altri possono essere d’aiuto sbrigando alcune faccende domestiche e dando una mano ad accudire il neonato. Si nota che quando la famiglia estesa si stringe intorno alla nuova mamma per dare aiuto e consigli si verificano molto meno casi di depressione postpartum. Molte volte si può essere di grande aiuto ascoltando affettuosamente, essendo rassicuranti ed evitando di criticare o giudicare. Ricordate che la depressione postpartum è una patologia e non è provocata dal proprio comportamento. Come fa notare un’organizzazione che si propone di informare i genitori in materia, “una donna non può ‘tirarsi su’ più di quanto potrebbe se avesse l’influenza, il diabete o una cardiopatia”.
Da quanto si è detto è evidente che il periodo dopo il parto può essere meraviglioso per le nuove mamme, ma può essere anche stressante. Capirlo può aiutarci a dar loro l’aiuto di cui hanno bisogno.
La depressione postpartum non va confusa con lo stress postraumatico, di cui soffrono alcune mamme dopo un parto difficile, anche se entrambe le patologie si possono presentare contemporaneamente.
Certi medicinali possono contaminare il latte materno, perciò se desiderate allattare, fatevi consigliare dal vostro medico la terapia più adatta.
Consigli per superare la depressione postpartum
1. Parla con qualcuno di come ti senti, in particolare con altre mamme.
2. Chiedi ad altri di aiutarti ad accudire il neonato, svolgere le faccende e fare commissioni. Chiedi a tuo marito di darti una mano a preparare la pappa di notte e a svolgere le faccende.
3. Trova il tempo di fare qualcosa di positivo per te stessa, anche se solo per 15 minuti al giorno. Cerca di leggere, fare una passeggiata, un bagno rilassante.
4. Anche se in un dato giorno riesci a fare una cosa sola, è un passo nella direzione giusta. Potrebbero esserci giorni in cui non riesci a fare niente. Cerca di non arrabbiarti con te stessa quando capita.
5. Spesso l’isolamento perpetua la depressione. Vestiti, esci di casa almeno per un po’ ogni giorno. L’aria fresca e una vista diversa faranno molto bene sia a te che al bambino.
Adattato da: l’Accademia americana dei Medici di Famiglia, l’Ordine Americano degli Ostetrici e dei Ginecologi e l’ente che si occupa della salute della donna.